Nell’intenzione di entrare in questo dibattito aperto da La Voce e nel redigere queste righe ho ripreso tra le mani un capolavoro partorito nell’ambito di quella cultura romantica che ben conosceva le vie della secolarizzazione, della rivoluzione, della libertà del pensiero, ma anche della nostalgia e del confronto polemico, della ricerca e del ripensamento, a volte anche troppo ingenuo, della dimensione spirituale. Si tratta del piccolo ma meraviglioso libretto di Novalis: Die Christenheit oder Europea. Un frammento del 1799 (data piena di senso) dal titolo significativo: Cristianesimo ovvero europea. Il grande tedesco aveva di fronte a sé gli sconvolgimenti del suo tempo; guardava ai sogni di pace perpetua interrotti dalla ventata rivoluzionaria e napoleonica; e scosso dallo sconvolgimento storico ed ideologico di quel finire del XVIII secolo, restava fermo a osservare e presentire le ombre che si addensavano all’aprirsi del nuovo secolo. Di certo vedeva con sguardo poetico, ma non meno acuto di quello filosofico, il terribile, possibile tramonto della fiducia razionalistica dell’ultima modernità, e così il poeta suggeriva con rispetto il ritorno ad un’identità, e suggeriva questo ritorno non a tutta l’umanità, ma alla sua gente, ai popoli del suo ‘continente’. E così ancora una volta, a due secoli di distanza, in altro tempo, ma ad una medesima porzione di umanità, non meno sconvolta dalla storia e non meno lacerata dalle ideologie, ci si trova a riparlare di identità d’Europa; il che non vuol dire parlare di dottrine, di fedi e convinzioni da imporre o contrapporre. Vuol dire fare lo sforzo per comprendere insieme le basi per una comune maturazione di ‘genti’ che vogliono divenire protagoniste di una cittadinanza, vuol dire prima di tutto ritrovarsi e condividere una storia, vivere in una dimensione di tradizione, di realtà, che si fa modo di vivere, cultura, scienza e valori, i quali sono chiamati a farsi progetto appunto su un condiviso modo d’essere. Ciò non comporta assolutamente uniformità e concordia; ma anzi opposizione, ricerca, pathos, a volte anche rinuncia, abbandono. Ma tutte le rinunce e tutti gli abbandoni vogliono che ci si riferisca e che si conosca bene quello che si abbandona e quello che si ripudia. Identità nella storia non vuol dire certo approdo, ma progetto e rinnovamento. E ciò che si offre nella storia della civiltà, ampiamente intesa, non è destinato a perdersi e mai nulla è fermo, anzi tutto è chiamato a rendersi nuovo in un tentativo che rende sempre più ricchi. Questa identità, questa casa comune, qual è per l’Europa? Certo il mondo classico, certo l’età dei lumi, ma ancor più è quella che poneva Novalis: ‘Cristianesimo ovvero Europa’. Sì perché questa nostra terra, che geograficamente è una propagine dell’Asia, ha assunto il carattere e il privilegio di essere un continente per questa sua identità, per questo suo progettarsi dentro un ripensamento nuovo dell’antico, dentro un modo di essere che è quello del Cristianesimo. E se un dibattito sul preambolo della bozza della costituzione europea deve essere fatto, deve certo tenere conto dei risultati storico politici e del rispetto che si deve ad ogni individuale adesione ad una fede, ma non deve farci dimenticare che il cristianesimo non è solo una forma politica e non è solo una fede individualmente accoglibile, ma per tutti è un modo d’essere. Mi pare quasi ridicolo ricordare che, più che di radici, a proposito di Europa e di Cristianesimo, si dovrebbe parlare di fronde. Giacché come si può dimenticare che questo modo d’essere cristiano è divenuto una matrice, un tessuto, un terreno di confronto, una casa per tutti? N. Frye e P. Ricoeur ricordano che tutta la civiltà occidentale ha un solo grande cifrario: la Bibbia. Questa raccolta di libri, assumendo la lingua greca dei Settanta e poi il latino di Gerolamo, divenne un termine di confronto, un codice, una lente di ingrandimento con cui guardare a ciò che precedeva e per sostanziare ogni sguardo futuro. Quel libro è divenuto tradizione, non del solo popolo ebraico, ma di tutta una porzione di umanità chiamata a crescere nei suoi valori, sia nell’accettarli, sia nel contrastarli e ripudiarli. Questa capacità storica e sovrastorica ad un tempo del codice cristiano biblico di prevedere in sé sia i vicini che i lontani, deve tranquillizzare tutti, credenti e non credenti; non deve generare timori o paure, poiché non ci si trova di fronte ad un’ideologia da difendere, ma di fronte ad una cornice, ad una casa che, piaccia o no, è nostra casa. E come in tutte le case ci sono stanze e luoghi diversi ma essenziali ognuno al modo di vivere, al bisogno, alle esigenze vitali dell’individuo. Parlare di casa vuol dire parlare di tutto l’ambiente non solo delle fondamenta e del ripostiglio. Ecco: in quelle pagine poco acute del preambolo mi è sembrato limitativo parlare solo di alcune ‘stanze’, solo di alcune matrici culturali europee senza citare altro e specie senza citare l’idea stessa di quell’abitare. Non penso che sia oggi il momento di stracciarsi le vesti, ma penso che per i credenti e i non credenti sia giunto il momento di pensare anche un’Europa diversa da quella del mercato e dei cittadini, un’Europa consapevole di sé, del suo volto e delle sue contraddizioni. Questa consapevolezza deve muovere e suscitare dibattito ma sulla linea di quella domanda che riguarda tutti e che riformulava Roberto Gatti nel numero precedente come questione essenziale: ‘Europa da dove vieni e dove vuoi andare veramente?’
Europa cristiana: una identità necessaria anche a chi la contesta
RADICI CRISTIANE DELL'EUROPA / 4 L'intervento di Marco Moschini
AUTORE:
Marco Moschini