“Io Sono mi ha mandato a voi”: queste sono le parole che Mosè deve riferire agli israeliti da parte del Signore.
Prima lettura
Si tratta della prima lettura di questa III domenica di Quaresima che riporta una delle più belle pagine del libro dell’ Esodo: la vocazione di Mosè e la rivelazione del nome divino. Mosè è sul “monte di Dio” e viene attratto da un fenomeno straordinario o, come ritengono alcuni, naturale (pianta del dittamo), che tuttavia cambia in modo radicale la sua vita e così anche quella dei suoi connazionali.
Dopo un invito al rispetto del luogo sacro con l’abbandono dei calzari (come nei santuari musulmani ancora si osserva) il ‘Signore’ rivela il Suo nome e lo fa gradualmente ma sempre utilizzando il verbo ‘essere’ al presente e al futuro. Relativamente a questo argomento del nome divino qui possiamo dire ‘solamente’ che, considerato tutto il racconto del capitolo, l’‘essere’ del Signore è l’‘esserci’, l’‘essere presente’, lo ‘stare vicino’ a Mosè nel corso della missione liberatrice a favore del Suo popolo.
Il Dio d’Israele è il Dio che ‘è’ con il suo popolo, e lo testimoniano anche gli altri popoli nominati nel Deuteronomio (4,58) che riconoscono l’intervento divino puntuale che ha favorito l’uscita gloriosa dall’Egitto.
Salmo
Ecco allora che la liturgia ci invita a rispondere con il Salmo 102 (103) che riconosce il ruolo di ‘mediatore’ svolto da Mosè a cui il Signore “ha fatto conoscere le sue vie”, ma è anche il salmo che esalta il nome del Signore così come proprio nel libro dell’ Esodo leggiamo: “Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore” (cf. Es 34,6).
LA PAROLA della Domenica
PRIMA LETTURA
Dal libro dell’Esodo 3,1-8a.13-15SALMO RESPONSORIALE
Salmo 102SECONDA LETTURA
I Lettera ai corinzi 10,1-6.10-12VANGELO
Vangelo di Luca 13,1-9
Seconda lettura
L’Esodo è il motivo conduttore anche della Prima lettera ai Corinzi, dove Paolo ne ripercorre ed attualizza le tappe: l’attraversamento del mare prefigura il battesimo, così come la manna l’eucaristia, e la roccia da cui sgorga l’acqua è Cristo. Quindi fare memoria degli eventi del passato significa valutare la propria condotta in funzione del messaggio evangelico.
Concretamente, i Corinzi sono accusati di tre atteggiamenti negativi: l’idolatria, l’immoralità e la mormorazione. Mentre dei primi due comportamenti non ascoltiamo la lettura dei versetti perché omessi, del terzo, la mormorazione, ne ascoltiamo le ‘direttive’. Paolo si esprime severamente ricordando come i mormoratori siano già caduti in balìa dello “sterminatore”, che nella cultura giudaica è il titolo di Satana.
In conclusione, per aiutare i suoi lettori, Paolo esorta a non ritenersi ‘migliori’, soprattutto a non insistere sulle proprie forze affinché non si insinui nei cuori il sentimento dell’orgoglio che conduce inesorabilmente alla caduta.
Vangelo
La pagina del Vangelo secondo Luca è tratta dal cap. 13, capitolo centrale all’interno dei sette (10-16) in cui Gesù espone il suo insegnamento alle folle che incontra nel suo cammino verso Gerusalemme. Mentre sta quindi predicando, da alcuni Gli viene portata la notizia di un fatto molto grave accaduto a Gerusalemme: Pilato ha fatto uccidere dei galilei durante l’espletamento dei loro sacrifici.
Probabilmente il crimine è da far risalire al periodo pasquale, l’unico nell’anno in cui i ‘non religiosi’ potevano offrire sacrifici nel tempio. Oltre all’omicidio di massa, Pilato ha anche aggiunto un atto sacrilego perché il tutto è avvenuto all’interno dello spazio sacro e nel corso di una liturgia.
Gesù accoglie questa notizia e ne approfitta per condurre i suoi uditori a fare un avanzamento qualitativo, a passare cioè dalla logica della retribuzione (al male fatto consegue un’equivalente punizione) a quella che Gesù sta loro proponendo. Non devono ritenere quei galilei “più peccatori” e quindi meritevoli di un castigo, ma saper leggere piuttosto quell’episodio terribile come un segno, come un incitamento per se stessi a convertirsi alla sua Parola.
Oltre a questo episodio causato dalla prepotenza degli uomini, Gesù riferisce un’altra circostanza – stavolta accidentale – della caduta della torre di Siloe (del muro di cinta in prossimità del canale che portava l’acqua alla piscina di Siloe) per spronare tutti a ritenersi peccatori e quindi bisognosi di aderire subito ad una svolta radicale della propria vita.
Probabilmente per avvalorare il messaggio dell’urgenza di abbandonare la mentalità retributiva, Gesù racconta anche la parabola della pianta di fico che non dà i suoi frutti da tre anni. Questo ‘tre’ non è da considerare secondo un significato teologico ma piuttosto ‘botanico’ in quanto una pianta che per tre anni consecutivi non produce frutti con molta probabilità non ne produrrà mai.
Tuttavia, la parabola conclude con l’opportunità data alla pianta di essere lasciata in vita ancora un anno affinché produca i suoi frutti gustosi. Gesù sta quindi concedendo ancora alle folle il tempo (kairòs) per decidersi a passare dall’osservanza delle regole ad una sequela che coinvolga l’intera esistenza.
Anche a noi “Dio misericordioso, fonte di ogni bene” con questo tempo di digiuno, preghiera e carità (cf. Colletta della messa) dona un’ulteriore possibilità affinché ci convertiamo alla sua Parola e sappiamo leggere gli eventi personali ed altrui non con la ‘bilancia’ ma con il metro dell’amore di Dio.
Giuseppina Bruscolotti