“Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello; l’Autore della vita era morto, ora è vivo e trionfa”. Questa è la non felicissima versione italiana di quel brano lirico che la liturgia canta in latino nel giorno di Pasqua, tecnicamente detto “sequenza”. Essa sintetizza stupendamente il significato definitivo di ciò che la Pasqua festeggia: la vittoria della Vita sulla Morte. Ricordo che, qualche anno addietro, una gelata nel mese di aprile aveva bruciato le gemme, già turgide, di un grande, bellissimo albero di fico del nostro orto conventuale. Mi dissi che ormai, almeno per quell’anno, l’albero era inesorabilmente morto. Invece dopo un paio di settimane, o poco più, centinaia e centinaia di gemme spuntarono lungo i rami, sul tronco, dappertutto.
Un’esplosione di vita così impetuosa e inaspettata mi mostrò quanto davvero la Vita fosse più forte della Morte. Eravamo nei tempi di Pasqua; l’avvenimento agricolo fu una Parola inequivocabile. Si tratta ben più che di un paragone: la risurrezione di Gesù è una realtà divina che contagia tutta la creazione, a vari livelli. Quello vegetale è forse il più evidente. Ma il contagio tocca tutto ciò che torna a vivere: la salute ritrovata, un amore che rifiorisce, una riconciliazione a lungo attesa. Molte sono in verità le esperienze di morte che costellano la vita di ciascuno di noi, la malattia, l’insuccesso, separazioni forzate, desideri inappagati… realtà di fronte a cui siamo costretti ad ammettere la nostra impotenza e che ci rimandano alla realtà della morte.
Ormai la morte però non ha più l’ultima parola. “L’Autore della vita era morto, ora è vivo e trionfa”. L’espressione che ascoltiamo con frequenza nella liturgia, e non solo a Pasqua, dice: “Cristo ha vinto la morte”. Bisogna riconoscere che per noi, occidentali moderni, non è di facilissima comprensione. Gli antichi semiti invece la capivano bene. Essi, infatti, immaginavano la morte come un mostro dalle fauci gigantesche, dentro cui, prima o poi, inesorabilmente finiva ogni essere vivente. Il mostro s’illuse, per un momento, di avere ingoiato anche l’uomo Cristo-Gesù. Per la prima volta nella storia, il mostro, anziché ingoiare, fu ingoiato dal Vittorioso. E i cristiani cominciarono confessare la loro fede, cantando: “La morte è stata ingoiata nella Vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria?”.
E l’annuncio della Risurrezione cominciò a correre, rivestito del linguaggio di quelle culture. Il Vangelo secondo Giovanni dà testimonianza alla risurrezione del Signore, raccontandola come una nuova creazione: “Il primo giorno della settimana… quando era ancora buio” (20,1). La notazione temporale fa pensare al primo giorno del mondo, quando la luce ancora non illuminava le cose e la terra era informe e vuota (Gn 1,1). Allora Dio creò l’universo, separando il nulla dalla vita. Nella stessa ora Maria di Magdala si metteva in cammino, attrezzata per imbalsamare il cadavere; in quello stesso momento l’angelo di Dio, rotolando via la pietra dell’ingresso del sepolcro, annunciava l’inizio della nuova creazione, e distruggeva la separazione tra i viventi e i morti. Gesù non poteva rimanere prigioniero della morte e con la sua risurrezione trascinava tutti gli uomini alla Vita.
Il fatto, annunciato da una donna, era talmente inaudito che gli stessi testimoni stentarono a crederlo (Mt 28,17). E non solo Tommaso. Alcuni di loro si erano presi anche un bel rimprovero, appena prima dell’Ascensione, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato (Mc 16,14). Poi furono sopraffatti dalla realtà, di fronte a cui, alla fine, dovettero cedere. Ci volle tempo, settimane, prima che se ne convincessero e cominciassero a gridarlo dai tetti. Non si trattava della rianimazione di un cadavere, ma di un genere di vita totalmente nuovo, una vita non più soggetta alla legge del morire e del divenire, una vita che inaugurava una nuova dimensione di essere uomini (cfr. insegnamenti di Ratzinger) e che trascinava con sé chiunque non si rifiutava di credere.
“Il Signore è con noi – dicevano – con una presenza ancora più intima e vera di quando stavamo visibilmente insieme”. Di bocca in bocca, nel giro di qualche settimana, di qualche mese, l’annuncio raggiunse i confini del mondo allora conosciuto. Lo stesso annuncio oggi raggiunge noi e ci raduna nel segno della vita e dell’allegria. La “sequenza”, di cui si diceva all’inizio, termina con il grido potente dell’assemblea liturgica: “Lo sappiamo bene, Cristo è veramente risorto dai morti!”. Un grido per dire a tutti che la Risurrezione oggi opera in noi e la Vita ci attraversa.