di Daris Giancarlini
Il cane che morde l’uomo non fa notizia. Come il Pd che perde il Comune a Terni, diventata città a maggioranza leghista. La ‘ruspa’ salviniana si è fermata a mezzo metro dal traguardo dell’elezione al primo turno del proprio candidato sindaco: ‘proprio’ nel senso che lo ha imposto Salvini al resto di una coalizione mugugnante quanto politicamente non decisiva. Ora sarà ballottaggio ‘fratricida’ (vista la maggioranza nazionale di Governo) con il candidato pentastellato: una situazione, quella ternana, dal forte valore politologico.
Perché hai voglia a ribadire che il voto locale segue logiche del tutto diverse da quello nazionale: per Terni, l’esito delle urne del primo turno comunale sembra una fotocopia quasi perfetta di quanto successo il 4 marzo scorso per le politiche. Con una Lega trionfante e trainante dentro il centrodestra, i cinquestelle che consolidano le proprie percentuali e un Pd ormai terza forza, ben sotto il 20 per cento. E se gli elettori, bocciando il Pd di Renzi e Gentiloni alle politiche, hanno dimostrato di non gradire il modo in cui il centrosinistra aveva governato il Paese, i ternani hanno di pari passo espresso un giudizio pesantemente negativo sulla Giunta di centrosinistra che ha amministrato la città negli ultimi anni. Segnati, questi anni, da inchieste giudiziarie che hanno coinvolto sindaco e assessori (e il cui esito si saprà tra qualche anno), ma soprattutto da lotte e faide interne a un Pd dove, a giudicare dal risultato delle amministrative, non pare azzardato paventare che più di un dirigente abbia remato contro il proprio stesso partito, pur di prendersi qualche rivincita personale su altri colleghi.
Sul perché a Terni abbia stravinto la Lega, le analisi si stanno sprecando. Di certo, il successo leghista non è arrivato parlando di flat tax (continua a leggere gratuitamente sull’edizione digitale de La Voce).