Le liste per le elezioni politiche nazionali del 25 Settembre sono state “chiuse” e la campagna elettorale è entrata nel vivo. Prima che gli animi si accendano troppo e che il frastuono superi il livello di guardia c’è tempo per qualche osservazione.
Tuttavia, ancora prima di queste osservazioni, è doveroso ribadire che, per il magistero sociale della Chiesa e non solo, la politica, come ogni ambito pratico, non è oggetto di verità assolute né di sillogismi. Le conoscenze, già in sé precarie, vanno continuamente aggiornate. Le sorprese sono all’ordine del giorno.
Valutare annunci … e scelte compiute
La perfezione e la purezza vanno escluse a priori e dunque ogni argomento difensivo del tipo “ma anche loro …” va bandito per principio.
L’unica cosa che si può fare è confrontare le liste di priorità. Valutare per i singoli problemi quali sono i diversi benefici ed i diversi costi delle soluzioni proposte e, soprattutto, valutare il pregresso delle persone e delle organizzazioni.
I programmi da prendere in considerazione non sono quelli scritti oggi, ma quelli perseguiti sino a ieri. Si dirà: in tempo di tribalismi (anche) politici tutto questo non è di moda. E quando mai un credente od una persona onesta possono farsi dettare i pensieri e le scelte dalle mode o dagli influencer? Anche se in tonaca. E veniamo a quattro osservazioni.
Pe le elezioni candidati non scelti dagli elettori
Pressoché tutte le liste sono piene di bravissime persone, di persone – come a volte si dice – provenienti dalla “società civile”. Ciò nonostante non bisogna farsi confondere.
Basta osservare i posti loro assegnati e conoscere i sondaggi per rendersi conto che sono state collocate in posizioni “inutili”, sono state usate da “abbellimento”. Gruppi dirigenti ristrettissimi e selezionati per cooptazione si sono presi tutti i posti “utili” (ed anche qualcuno in più: “per sicurezza”).
Questo fenomeno non è affatto inevitabile. Basta osservare come funzionano le grandi democrazie (ed ormai anche molte delle piccole) per rendersi conto facilmente che le primarie (spesso imposte per legge), o i “primi turni” di sistemi a “doppio turno”, servono esattamente a questo: a far sì che siano gli elettori a scegliere i candidati. Né la attuale legge elettorale avrebbe impedito l’utilizzo dello strumento delle primarie. Anzi, per la verità, lo avrebbe favorito.
Il rifiuto delle primarie è particolarmente grave per il Pd che era nato sul solenne impegno statutario di tenere regolarmente primarie aperte e trasparenti. Di quel Pd non c’è più traccia e magari la cosa colpisce un po’ meno in Umbria, dove il Pd – come qualcosa di realmente altro da quello che c’era prima – non è praticamente mai nato.
A quest’uso delle “facce nuove”, di routine a destra, non fa eccezione neppure il neonato “Terzo Polo” (Renzi-Calenda), che ha cercato di mettere al sicuro una manciata di ex-Pd nostrani, i quali, del riformismo e dello spirito liberale di cui oggi parlano, non avevano fatto sospettare quando erano interni e spesso al vertice dell’”Umbria rossa”. Veniamo ai programmi. Qui il discorso si fa piuttosto semplice.
I programmi di partiti e coalizioni ci sono?
I 5Stelle di Conte
Difficile dire qualcosa del Movimento 5 Stelle e di Conte. Nel corso della passata legislatura hanno fatto di tutto ed hanno addirittura guidato (con Conte) governi di orientamento perfettamente opposto (record eguagliabile, ma non superabile), nessuno dei quali governi e delle rispettive alleanze minimamente riconducibile alle promesse fatte in campagna elettorale.
Anche dal punto di vista del metodo il M5S non ha certo dato compimento alle promesse di democrazia diretta e di trasparenza di cui si era vantato. Se bastava un po’ di storia per sapere che la “democrazia diretta” è un mito che serve solo a coprire l’ennesimo attacco alla democrazia, forse non tutti si aspettavano che alla fine risultasse irrisolto anche il nodo del rapporto tra M5S e aziende private.
Ciò detto, e a dimostrazione di quanto detto in premessa, non si può però non ricordare che per iniziativa dei “Cinque Stelle” abbiamo avuto una riforma – il taglio dei parlamentari – che punisce il ceto politico ed aumenta il peso del voto del singolo elettore. Una riforma – come tutte certamente da completare – della quale solo da poco abbiamo cominciato ad apprezzare il valore e la utilità.
Il Pd e gli alleati
Difficile dire qualcosa anche della alleanza cui hanno dato vita: +Europa, il Pd, i dalemiani della “ditta” già fuoriusciti, Fratoianni, Bonelli e Di Maio.
La eterogeneità è tale che questa coalizione non ha né un programma, né un leader e forse neppure un nome. Vi sta dentro chi è stato con Draghi e chi lo ha costantemente combattuto, e persino Di Maio il quale, per parlare solo di politica estera, ha avuto momenti di attiva simpatia per Putin, altri di alacre collaborazione con i cinesi e ora, da poco, professa “europeismo” ed “atlantismo”.
Il Pd, che aveva cercato in ogni modo il Conte III piuttosto che il governo Draghi, dopo essere stato fedele a quest’ultimo, una volta caduto l’ha immediatamente rimosso, accantonandone l’agenda ed alleandosi con chi lo ha osteggiato. Si dice: colpa delle legge elettorale; ma – a prescindere dal fatto che tale legge non obbliga affatto a fare alleanze, né tanto meno a farne con chi ha idee diverse dalle proprie – si tratta di una legge elettorale che porta il nome dell’allora capogruppo Pd!
Se ora il Pd si accorge che si tratta di una legge elettorale fatta male, non dovrebbe accampare scuse, ma chiedere scusa. La scissione di alleanza elettorale e programma è l’ennesima pietra tombale posta dal Pd su se stesso. In questa fase neppure i residui riformisti del Pd hanno dato battaglia a Letta ed alla “ditta”, ma si sono limitati a tentare di farsi cooptare.
Centro destra e Terzo polo Renzi-Calenda
Di programmi invece ha invece senso parlare se si prendono in considerazione Centrodestra e Terzo polo (Renzi-Calenda). Qui la alternativa è chiara: da una parte – il Centrodestra – abbiamo un “no” netto alla “agenda Draghi”, dall’altra – Renzi-Calenda – abbiamo un “sì” altrettanto netto alla “agenda Draghi”.
La contrapposizione è resa ancora più chiara dal fatto che la “agenda Draghi” non è una vaga dichiarazione di intenti, ma un programma per larga parte già scritto, già in via di esecuzione e che già ha prodotto risultati in termini di: flussi economici, pubblici e privati, di credito, di collocazione internazionale dell’Italia, di riforme, di risultati già prodotti dalle politiche adottate.
Naturalmente la “agenda Draghi” può piacere o non piacere, ma si tratta di una cosa precisa e già operativa. Sicché la alternativa tra Centrodestra e Terzo Polo ha contorni precisi e concreti. (Né si può escludere che un buon risultato di Renzi & Calenda attragga e torni a dare un po’ di coraggio ai riformisti del Pd ed agli eventuali – attualmente scomparsi dai radar – “non sovranisti” e “non populisti” del Centrodestra.)
Ciò che il Centrodestra non dice nel suo programma è come (e dunque a quali costi) riuscirebbe a garantire altrimenti i flussi finanziari positivi generati dalla agenda Draghi (dai fondi messi a disposizione dall’UE agli investimenti privati attirati dalla fiducia generata sui mercati da Draghi e dalle sue politiche). Ad esempio, come potrebbe mai essere possibile arginare la escalation dei prezzi dell’energia se non con un fronte UE compatto quale quello cui Draghi ha lavorato sin quasi ad assumerne la leadership?
Né il Centrodestra dice come riuscirà a conservare la apertura di credito riguadagnata dall’Italia nelle sedi internazionali, né come eviterà i contraccolpi negativi della cancellazione delle riforme realizzate o messe in cantiere dal governo uscente, né con cosa sostituirà i risultati ottenuti e quelli attesi delle politiche adottate dal governo Draghi. Il Centrodestra afferma di voler stare nella Unione Europea e nella Nato, ma questo non basta perché si può stare in Europa come l’Ungheria di Orban (corteggiatissimo da Meloni) ed il Gruppo di Visegrad (amato da Salvini) oppure come Macron; perché si può stare nella Nato come la Turchia di Erdogan o come la Gran Bretagna.
Per non parlare delle simpatie per Putin (e per Trump) assai diffuse nello stesso Centrodestra. Al momento, il “no” alla “agenda Draghi”, che resta legittimo, è pieno di equivoci e di lacune, ed è pieno di incubi per chi desidera che l’Italia resti una “società aperta”, una poliarchia locale dentro una poliarchia globale (per usare i termini della Caritas in veritate di Benedetto XVI).
Dal punto di vista programmatico, per quello che è dato vedere oggi, le elezioni del 25 Settembre saranno un referendum sulla “agenda Draghi”: Terzo Polo a favore della “agenda Draghi” e Centrodestra contro la ”agenda Draghi”.
Temi locali nel dibattito nazionale sulle elezioni?
Ha senso attendersi che si parli di questioni locali in elezioni politiche nazionali? No e sì.
No, non ha senso perché agli umbri, come a tutti gli altri italiani, è chiesto di scegliere su politiche di livello nazionale, a differenza di quanto avviene nelle consultazioni regionali o comunali.
Sì, ha senso, se si riesce a mostrare che una questione “locale” non è una questione di rilievo solo “locale”, bensì anche “nazionale” e “globale”.
La questione “Italia centrale”
Negli ultimi anni, per prima la Azione Cattolica di Terni-Narni-Amelia, tante e varie voci autorevoli della vita sociale, economica ed accademica, istituzioni di ricerca come l’AUR di Perugia, testate nazionali come “il Messaggero”, hanno chiarito oltre ogni ragionevole dubbio che la questione “Italia Centrale” è oggi questione di interesse nazionale e globale e che nei suoi confini prende nuovo vigore la causa umbra e in generale quella della rete di città medie di questa area.
Nelle settimane scorse era stato fatto notare anche che la maggior parte dei collegi contendibili è collocata proprio in Italia Centrale e che quindi era interesse dei partiti competere offrendo all’elettorato proposte alternative in materia. Risultato: tutti hanno taciuto. Niente di niente da nessuna delle quattro principali sponde.
La questione cattolici e politica
Anche queste elezioni 2022 sono occasione nella quale si manifesta lo scivolamento in atto nel cattolicesimo italiano, rispetto alla politica e non solo. La offerta politica che abbiamo di fronte mostra come il cattolicesimo italiano sia caratterizzato oggi da un mix di visibilità ed irrilevanza.
Meloni, Salvini, Berlusconi, Renzi, Letta e Conte hanno biografie e strategie comunicative in cui certo non si nasconde il riferimento alla religione.
Contemporaneamente, non occorre essere teologi per rendersi conto che principi e criteri del magistero sociale della Chiesa, per non parlare dell’eredità del cattolicesimo politico, non hanno gran peso nella selezione delle priorità e delle politiche.
Dibattito elettorale: riferimento inconsistente all’insegnamento della Chiesa
In questo senso non si può non sottolineare la assoluta inconsistenza del riferimento alla dottrina sociale della Chiesa fatto dalla on.le Meloni a Rimini. Senza risalire al Vaticano II ed a Montini, è davvero difficile trovare argomenti a sostegno di una prospettiva “sovranista” e “populista” nel magistero di Giovanni Paolo II o di Benedetto XVI.
Caduta del pensiero cattolico e della formazione dei credenti?
Decenni di desertificazione del tessuto dell’associazionismo laicale cattolico e di sua improvvida sostituzione con le “pastorali” (strutturalmente “clericali”) hanno estirpato le radici che avevano formato generazioni di cattolici alle forme proprie ed alla responsabilità della politica. A questo si è aggiunta una moda ormai dilagante di continuo riposizionamento di cattolici, laici e clero, che non si dà briga di addurre giustificazione alcuna per l’assumere in successione posizioni diversissime sia nella Chiesa che in politica.
Se si pensa a quale spazio gli interventi del magistero, a tutti i livelli, davano alle argomentazioni che discutevano, distinguevano o collegavano affermazioni del passato e del presente, ben si comprende quale “sciogliete le righe” produca l’attuale affidarsi non ad argomenti, ma ad emozioni, battute e twitt.
Certamente non si aiuta la maturazione nei credenti di una rinnovata coscienza storica, e dunque anche politica, diffondendo lo spontaneismo, premiando l’anti-intellettualismo, abbandonandosi a luoghi comuni.
Semmai, il bisogno di disciplina (ascetica ed intellettuale), di formazione e di confronto nel discernimento, il bisogno di apostolato dei laici (e non di “pastorali”), di associazionismo laicale ecclesiale (piuttosto che di uffici di curia e di laici ridotti ad “operatori pastorali”) è oggi più grande di ieri.