Educare al lavoro dignitoso

L’editoriale

La situazione in cui versano l’Italia e l’Europa, tanto per rimanere nel Vecchio Continente, rischia di mandare in frantumi non solo l’economia delle famiglie e delle nazioni, ma anche i grandi valori che lentamente e faticosamente, anche con tragiche esperienze e feroci lotte, si erano affermati sul piano della dignità delle persone e del lavoro. Chi ce lo ricorda, con parole ponderate, senza forzature demagogiche fuori luogo, è il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, nel suo intervento al convegno dei direttori della Pastorale sociale, in corso a Rimini fino al 28 ottobre sul tema “Educare al lavoro dignitoso. Quaranta anni di pastorale sociale in Italia”. “Un lavoro – ha affermato – può essere ambito in rapporto al guadagno, al potere, al prestigio, alla fama che procura, ma non sarà dignitoso se chiede al lavoratore di rinunciare ai valori che rendono la vita degna di essere vissuta: guadagnare la vita ma perdere le ragioni del vivere è indegno dell’uomo, perché non lo realizza nella sua umanità. Tra economia e cultura – ha aggiunto Bagnasco – esiste un rapporto di reciprocità; ma deve restare fermo e chiaro il primato della cultura, se non si vuole entrare nella giungla di un mercato senza regole perché senza valori”. Per cui l’“errore genetico” del socialismo e del consumismo, e dunque della nostra civiltà, consiste nell’essere malata di quel “morbo” per cui si riduce l’uomo “ad una serie di relazioni economiche”, negando la sua responsabilità “morale”. Sembrano parole astratte e fuori misura, in un tempo in cui un lavoro, se lo trovi, lo accetti comunque… Eppure il Cardinale, e la Chiesa in generale, entra nel discorso pratico della vita concreta delle singole persone, preoccupata di aiutarle ad intraprendere la “vita buona del Vangelo” e non una vita comunque sia. Per fare questo non si tratta solo di riempire lo stomaco della gente, ma sostenerla nel raggiungimento di una vita piena e completa in cui il lavoro è parte centrale. Bagnasco ha ricordato che il “lavoro decente” è “un lavoro scelto liberamente, che associ efficacemente i lavoratori, uomini e donne, allo sviluppo della loro comunità; un lavoro che permetta ai lavoratori di essere rispettati al di fuori di ogni discriminazione; un lavoro che consenta di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli senza che questi siano essi stessi costretti a lavorare; un lavoro che permetta ai lavoratori di organizzarsi liberamente e di far sentire la loro voce; un lavoro che assicuri ai lavoratori giunti alla pensione una condizione dignitosa”. Di qui l’appello allo Stato, che “ha il delicato e gravoso dovere di provvedere alle opportunità di accesso al lavoro”, tenendo conto però che “circostanze inedite” come quelle attuali “impongono un aggiornamento di mentalità e capacità di rinnovamento”. Da Rimini una lezione che non è una piattaforma di rivendicazioni, ma un progetto di società in cui la persona e il lavoro siano collocati al centro dell’interesse collettivo.

AUTORE: Elio Bromuri