È poco più di un mese che sono vescovo a Città di Castello. Confesso che non ho finito di rendermene conto, anzi, a volte mi chiedo ancora: ‘È un sogno o è proprio realtà?’. La nuova vocazione-missione è arrivata senza preavviso e come qualcosa di ben superiore alle mie forze. Per dire il sì alla vita consacrata e sacerdotale passano anni. Per accettare di essere vescovo e cambiare quasi tutto (per me è così) appena tre giorni! Spesso mi chiedono: ‘Come va in quel di Castello? Ti manca Collevalenza?’. Dal punto di vista affettivo, certamente. È come un esodo da una situazione ben nota ad una nuova terra e a una nuova famiglia che quasi non conoscevo. Partire è un po’ morire, si dice, ma stimola una nuova vita, un cambio di relazioni, modalità, attività’ È come la crisi del passaggio da una fase all’altra della vita: è una grazia per crescere e maturare, per responsabilizzare a servire di più e amare di più. Servire e amare è principalmente una grazia, immeritata, che esige una risposta coerente. Ho avvertito da un lato la potenza dello Spirito e dall’altro la forza della Chiesa, sacramento di Cristo. La grazia di essere apostolo di Gesù, io, pover’uomo come tutti. Dallo stupore e dalla gratitudine dinanzi a questo Amore divino che effonde le sue grazie quando, come e a chi vuole, è fiorito, dopo il primo smarrimento, il mio ‘eccomi, vado!’. Servire e amare non s’accordano gran che con i titoli di ‘Eccellenza, Monsignore’, in verità non molto evangelici. È invece molto bello il rapporto sponsale con la Chiesa che mi è stata affidata, con la quale è nato subito un legame di reciproco amore, e che l’anello al dito mi ricorda sempre. È molto bella la paternità nei confronti di ogni cristiano, a partire dai confratelli sacerdoti. Una paternità che si esercita attraverso l’annuncio del Vangelo, il servizio di orientare alla santità nella carità, la guida pastorale. E tutto questo continuando a rimanere un uomo limitato e peccatore! Trovo straordinaria questa presenza di una grande grazia ‘in un vaso d’argilla’. Mi sono arrivati, da amici sinceri, preziosi consigli: ‘Non montarti la testa. Sii te stesso. Basta che vuoi bene a tutti, specialmente ai sacerdoti. Confida nello Spirito santo e nella Parola di Dio. Noi preghiamo per te. Porta con te il carisma dell’Amore misericordioso che hai ricevuto attraverso Madre Speranza”. Ma soprattutto mi ha toccato la parola del Papa ai nuovi vescovi: ‘Siate uomini di preghiera e aiutate a pregare!’. ‘Ma come è stato l’impatto con i castellani?’. Mi sono sentito accolto, incoraggiato e amato. Voglio ringraziare tutti di cuore, a cominciare da mons. Ronchi, simpatico padre e fratello maggiore. Ora l’appuntamento più significativo è la prossima celebrazione dei santi patroni Florido e Amanzio. Siete invitati alla concelebrazione eucaristica del 13 novembre, ore 18. È la festa della nostra diocesi che li riconosce, giustamente, come coloro che hanno costruito la Chiesa e la città, distrutta da Totila nel secolo VI. Anche oggi c’è bisogno di ricostruire la Chiesa e la città, quanto meno di renderle più belle, di rilanciare un nuovo progetto di evangelizzazione e di cultura cristiana che superi le derive post-ideologiche e si collochi nella grande tradizione della fede, che sappia inculturarsi e aprire una nuova stagione di umanesimo cristiano, capace di dialogare fruttuosamente con le nuove culture, le diverse religioni e il mondo globalizzato. Dopo aver condiviso con voi, lettori del nostro benemerito settimanale, i sentimenti di un vescovo che ha poco più di un mese di vita, vi saluto cordialmente, augurando a me e a voi un rapporto di amicizia anche attraverso queste pagine che mi sembrano preziose per la nostra vita ecclesiale.
‘Eccomi, vado!’
AUTORE:
' Domenico Cancian