La figura di Giovanni il Battista che ci viene proposta nella seconda domenica di Avvento è splendida. Di solito viene presentata in modi diversi, ad esempio come un predicatore escatologico, come l’ultimo e più grande dei profeti, come il mentore di Gesù, e via dicendo. Ciascuno di questi appellativi ritrae un aspetto del suo ministero in relazione all’imminente venuta di Gesù e all’inizio della predicazione del Regno.
Oggi, nella prospettiva di una lettura del Vangelo che tenga presente la famiglia, ci lasceremo guidare da una suggestione diversa e presenteremo il Battista come figura del coniuge, ritratto sicuramente poco convenzionale, ma non per questo meno eloquente. Abituati come siamo, nella cultura individualistica di oggi, a pensare ciascuno per sé, a volte si presenta il rischio di vivere la famiglia e il sacramento del matrimonio come una somma di individualità. A volte capita pure che, in una prospettiva cristiana, ciascuno dei due sposi concepisca il proprio itinerario a prescindere dagli altri membri della famiglia, e non è raro che la dimensione interiore del proprio vivere – per non parlare di tante altre cose – sia rivendicata come l’unico vero spazio di intimità nel quale ciascuno va da sé e pensa per sé.
Veniamo ora al Vangelo: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero”. Chi è questo Giovanni Battista della nostra vita? Chi mai dobbiamo aspettarci da parte di Dio per preparare la sua strada? Il Battista non è un estraneo che compare improvvisamente, ma proprio il compagno del nostro viaggio. Sì, proprio lui, il coniuge. Ed è chiamato, nel progetto di Dio, a essere il messaggero che il Signore ci pone di fronte. Alla luce di questa idea, la spiritualità coniugale deve essere rivisitata. Non è possibile accontentarsi di due individualismi convergenti, non serve a nulla una generica composizione, ma va cercata una spiritualità che veda l’altro come il messaggero di Dio inviato per noi. Tante volte l’altro viene percepito come un ostacolo o un peso. Tanto ci fa presumere il nostro orgoglio, ma nella visione di Dio quella persona è significativa per scuotere le nostre mediocrità, o magari per contenere il nostro narcisismo.
Colui che abita con noi la nostra vita non può essere manipolato o asservito, ma diventa concretamente la “voce che grida nel deserto”, cioè un richiamo, in quella solitudine egoistica nella quale tentiamo continuamente di arroccarci. Sta lì di fronte, irriducibilmente; ci costringe a venire fuori, a decentrare la nostra vita, letteralmente a “perderci”, a ripensare le dinamiche del vivere e del volere. La persona che Dio ci pone a fianco e i figli che dona sono quella presenza profetica costante che suggerisce di “raddrizzare le vie”, vale a dire riconfigurare continuamente il nostro percorso fuori dall’egoismo.
Tali persone non sono ostacoli o freni, ma segnali stradali che Dio dissemina sulla nostra strada per indicarci la rotta del Cielo. Ebbene, questa seconda domenica di Avvento nella quale si rinnova l’invito all’attesa, il Signore ci propone di ripensare la famiglia come il terreno fecondo nel quale, attraverso i vari “Giovanni Battista” della nostra esistenza – marito, moglie e figli – siamo sollecitati a uscire fuori dall’individualismo compulsivo, siamo costretti ad assumere la presenza dell’altro come richiamo costante, siamo continuamente orientati a riscoprire la logica esistenziale della relazione. Ciascuno di noi è la “voce” che Dio ha messo nella vita dell’altro. Ciascuno di noi deve ascoltare l’altro come voce concreta e utile per spianare la via per la venuta del Signore.