T’ho confidato, pazientissimo lettore, il mio stato d’animo durante le celebrazioni per il 50° della Comunità di Capodarco a Fermo: la certezza che sul quel mio esagerato entusiasmo per quella Comunità, che 46 anni prima mi aveva spinto a immergermi in essa per tutta la vita, avesse influito in maniera determinante Papa Giovanni; ma mi era impossibile dire come e perché.
Quando lo fecero Papa, tra noi ragazzi del Seminario romano maggiore dilagò lo sconforto. In particolare noi 15 studentelli presuntuosetti del II anno di Teologia fummo sul punto di perdere del tutto la nostra esangue fede nello Spirito santo.
Roncalli, secondo noi, non era adatto a quel ruolo. Fisicamente, culturalmente non era quello il suo posto. Impacciato, pesante, ma – sit venia verbis – soprattutto duro di testa. “Duro”: fatti per motivare quel giudizio non ne mancavano, a noi quindici studèntuli càndudi blànduli , che reagivamo ridacchiando presuntuosetti, tra i denti, come nobildonne sdentate. Ih! Ih! Ih! Ah! Ah! Ah!
Inadatto, il prete di Sotto il Monte, non solo sul piano culturale, ma anche su quello linguistico. Ih! Ih! Ih! Ah! Ah! Ah! Nei nove anni passati a Parigi (tra il 1944 e il 1953), Roncalli non solo non era stato nemmeno sfiorato dal fascino obliquo di Sartre o da quello sghimbescio di Malraux, ma nemmeno nel tempio di quella lingua francese che, tra Bulgaria e Istanbul, aveva adoperato per una ventina d’anni – l’aveva imparata bene, quella lingua. Parlava il francese come una tricoteuse di fine ’700.
Alla fine del suo incarico diplomatico, in un discorso da Capo Onorario della Diplomazia Mondiale, aveva voluto ricordare che i suoi genitori, non avendo figli, fecero un voto ( voeu ) e nacque lui. Ma la memoria lessicale non l’assistette. Disse: “Fecero un vitello ( veau ), e sono nato io”. Ih! Ih! Ih! Ah! Ah! Ah!
Nell’imminenza del Conclave che lo avrebbe eletto Papa, fu ospite del nostro Seminario romano al Laterano. E la mattina del giorno in cui il Conclave iniziava, tenne la meditazione, proprio a noi 15 della II Teologia, nella cappella della Madonna della Fiducia. A un certo punto voleva parlare della fusione dell’atomo, e ripeté più volte: “la fusione dell’attimo”. Ih! Ih! Ih! Ah! Ah! Ah!
Eppure nell’ultimo 12 novembre, quello di questo 2016, ne ero certissimo: era stato lui, il Papa Buono, che mi aveva indotto ad annegarmi in Capodarco.
Ma come? E perché!