Dopo la grande ricerca che l’Aur (Agenzia Umbria ricerche) ha svolto su “I giovani adolescenti in Umbria. Un’indagine su valori, culture, stili, relazioni, linguaggi della nuova generazione tra 14 e 19 anni”, presentata nel 2009, ora giunge al pubblico il Rapporto immigrazione in Umbria. Presentato nel corso di una giornata di studio alla sala dei Notari a Perugia il 22 gennaio scorso, contiene dati che descrivono con abbondanza di particolari gli aspetti della realtà immigratoria, le dinamiche del fenomeno, il lavoro, la presenza nel territorio, i bambini, i minori, le case, i rapporti con le istituzioni, le culture, la sicurezza: un percorso di ricerca a tutto orizzonte, difficile da unificare in un solo sguardo. Il referente politico – l’assessore alle Politiche sociali, Damiano Stufara – giustamente osserva che la ricerca deve considerarsi un punto di partenza per un continuo studio del fenomeno, tale da poter costituire la base su cui poggiare progetti di governo delle connesse problematiche sociali, in modo da evitare incomprensioni e scontri, e favorire l’integrazione la collaborazione e la pace sociale cui tutti, italiani e stranieri, aspirano. Dai dati risulta che in Umbria gli immigrati ci sono, al punto che la nostra popolazione può considerarsi multietnica. Anche se permangono atteggiamenti di diffidenza nei confronti degli immigrati, dei cosidetti “extracomunitari” e dei clandestini, dal Rapporto pare che l’Umbria sia più accogliente di altre regioni e il livello di integrazione più alto, senza farsi illusioni, ma continuando nell’impegno per modificare in positivo non solo la politica, leggi e istituzioni, ma l’opinione pubblica generale, creando una mentalità più aperta e idonea ad accogliere persone che provengono da lontani Paesi e da diverse e lontane forme di cultura che si trovano spaesate e in gravi difficoltà di comunicazione e inserimento. Dei criteri della trasformazione di mentalità ha parlato il direttore della Caritas italiana, mons. Nozza, in una prospettiva generale. Egli ha sostenuto che si devono cambiare alcuni termini e concetti, da irregolari in regolari, da delinquenti a lavoratori, da lavoratori a cittadini, ricordando a conclusione che “l’integrazione non è a senso unico, ma consiste nell’andarsi incontro vicendevole per vivere fraternamente in pace”. “Il fenomeno migratorio lo seguiamo da trenta anni” ha ricordato, sottolineando i punti che nell’immaginario collettivo più sono più distanti dalla realtà. A cominciare dall’idea che sono quasi tutti irregolari. In Italia, ha detto mons. Nozza citando i numeri del Dossier statistico Caritas – Migrantes,“ci sono 4,5 milioni di immigrati regolari o in fase di regolarizzazione, 2,5 milioni lavorano, e oltre 860 mila sono minori che vanno a scuola”. Dobbiamo, ha detto “passare dal considerarli delinquenti a considerarli lavoratori. Le ricerche mostrano che, mentre aumentano i lavoratori, che tra l’altro spesso sono impiegati in attività non desiderate dagli italiani, non aumentano le denunce”. Inoltre, ha aggiunto, “dobbiamo passare dal considerarli lavoratori e basta al considerarli cittadini, che tra l’altro pagano 7 miliardi di euro di contributi oltre 3 di tasse, incidendo solo per l’1,2% per cento sulla spesa sociale, mentre contribuiscono a più del 9% del Prodotto interno lordo”. Gli studiosi del fenomeno e i commentatori dei dati sono d’accordo nell’affermare che il flusso migratorio, che non è di oggi, ma antico quanto l’umanità, non è un evento passeggero e provvisorio, ma deve considerarsi permanente, duraturo nel tempo, con caratteri diversificati secondo le situazioni economiche e politiche degli Stati. Non serve, pertanto, fare lamentele, ma istituire osservatori di monitoraggio, leggi adeguate, strutture di accoglienza, forme di partecipazione e di cittadinanza. Pensare al futuro partendo dalle esperienze positive e negative del passato e del presente. Soprattutto, in questo momento, per prevenire violenze e distruzioni di persone e di cose, e ancor più per evitare la perdita di stima e fiducia reciproca tra immigrati e residenti, come è successo recentemente nella vicenda di Rosarno, per la quale tutti ci siamo indignati e vergognati. Nella nostra regione, dove da più di trent’anni vi sono state iniziative della Caritas, e ancora prima altre strutture e attività di dialogo e integrazione, quali il Centro ecumenico di Perugia, il Centro di accoglienza, con questo rapporto e con ciò che ne conseguirà si potrà sviluppare un cammino virtuoso che riporti, come è stato in passato, l’Umbria al primo posto tra le regioni italiane per la cultura dell’accoglienza.
È lunga la strada verso la multietnicità
Società. L’Agenzia Umbria ricerche presenta il primo “Rapporto sull’immigrazione in Umbria”
AUTORE:
Elio Bromuri