Non abbiamo parole diverse da quelle che tutti, di fronte a due piccole bare bianche, hanno mormorato in cuor loro, o affidato a persone amiche, oppure gridate ad alta voce con sdegno nella piazza di Gravina. Dolore, delusione, rammarico, rabbia. Il tutto confuso in un senso di angosciosa umiliazione, impotenza e vergogna. Molti ‘perché’ si sono levati e sono ancora di fronte alla coscienza di tutti. La notizia esplosa improvvisamente, come un sibilo di vento impetuoso, la sera di lunedì scorso, ha attraversato l’Italia subito unitariamente polarizzata attorno a quel pozzo profondo ad immaginare la posizione e la conformazione di quei fratellini di cui non si sapeva più nulla dal giorno in cui sono precipitati nella cisterna vuota, il 5 giugno 2006, giorno della scomparsa. Poi si è saputo: i due corpicini erano rannicchiati su se stessi in posizione fetale, a poca distanza l’uno dall’altro, il piccolo con un dito in bocca. Sarebbero morti di fame e di freddo. Chi è abituato a frequentare la Bibbia non può evitare di incontrare nella memoria la cisterna vuota in cui fu rinchiuso, per gelosia dai suoi fratelli, Giuseppe, il figlio più piccolo di Giacobbe. La sorte di Giuseppe fu fortunata perché fu tratto in salvo e venduto ad una carovana di egiziani. Questa volta, vicino alla cisterna di Gravina, non è passato nessuno. Sono andati a cercare dappertutto e lontano, ma nessuno che abbia avuto l’intuito, l’ispirazione, il sospetto di quel brutto oscuro luogo. In un Paese in cui tutti conoscono i segreti della società, pieno di veggenti, indovini, investigatori dai grandi occhi, munito di sofisticati mezzi di investigazione, non c’è stato nessuno che abbia avuto l’idea di cercare in quel complesso abbandonato. C’è voluto che un bambino, uno come i due fratellini Salvatore e Francesco, un compagno di gioco, come un messo inconsapevole, precipitasse in quell’inferno facendo scoprire i corpi per togliere ogni dubbio sulla loro sorte. Ora non restano che parole di consolazione al pensiero che, ricomposti e onorati con l’affettuoso abbraccio di un popolo intero, Ciccio e Tore siano saliti, con il profumo dell’incenso della Chiesa, che rappresenta la preghiera dei santi, al cospetto di Dio dove abbracciati e consolati vivono la loro immortalità. Questo pensiero potrà dare un sollievo al dolore. Ma a ciò si deve aggiungere un richiamo alla coscienza di una società distratta e malata, che trascura i deboli, le persone fragili e i bambini. Centinaia e migliaia di bambini sono scomparsi o in condizioni di sofferenza in Italia e nel mondo. E non sono al centro dei programmi della politica. Non si fa grande attenzione, ad esempio, al disagio dei figli vittime delle separazioni coniugali. Anche nel caso di Gravina, senza incolpare nessuno, ci troviamo di fronte ad una divisione tra coniugi, al fallimento di una famiglia, e possiamo stare certi che, in qualsiasi ipotesi, se c’è stata una fuga dei fratellini o un capriccio o qualsiasi altra ragione, l’odio tra i due ex coniugi, preoccupati soprattutto di incolparsi a vicenda, nella più benevola delle ipotesi può aver influito negativamente nelle indagini. Questa tragica vicenda deve scuotere le coscienze e rendere tutti più responsabili e impegnati nella difesa della famiglia e nella tutela dei bambini e della loro serena crescita anche affettiva. I bambini non devono essere merce di scambio tra i genitori e occasione di conflitto, sottoponendoli a lacerazioni interiori dei loro sentimenti, sopraffatti dall’egoismo degli adulti e costretti ad angosciose scelte.
Due piccolo bare bianche
AUTORE:
Elio Bromuri