Le “Feste dei santi e dei morti” quest’anno hanno avuto uno spazio maggiore del solito, grazie al fatto che l’ultima domenica di ottobre cadeva il 31. E la tua risposta positiva alla domanda di prammatica di chi la mattina del 3 novembre t’incontra di nuovo al lavoro (“Come sono andate le feste dei santi e dei morti?”) appare un po’ più motivata: un giorno di più. Bene, grazie. Anzi, molto bene, per me. Nel mio fine ottobre/primi di novembre c’è stato del valore aggiunto. Da cristiano medio/mediocre ho passato in rassegna i santi che ho conosciuto di persona e che non saranno mai canonizzati, chiedendo ai miei che sono di là di aiutare me e i miei che siamo di qua a non desistere dal nostro sbilenco tentativo di vivere con gli ultimi, più che per loro. L’ho chiesto a babbo, mamma, ai miei due fratelli, ai molti amici; l’ho chiesto ai “ragazzi” della mia comunità che non sono più tra noi, soprattutto a quelli che, nel corso dei suoi primi 30 anni, non ce l’hanno fatta e si sono tolti la vita: Giancarlo, Pierfrancesco, Mariolina, Ettore, Roberto. Un primo valore aggiunto è venuto a queste mie giornate dalla visione in Tv del film “Bellissima”, di Visconti. Fuori dal frigorifero dopo 53 anni, fresco, ma godibile come il giorno della prima. Ancora più sapido il valore aggiunto del “Requiem” di Mozart, eseguito il 31 ottobre, nella chiesa di S. Pietro a Gubbio, dall’orchestra Accademia strumentale umbra diretta da Carlo Segoloni, con le corali “Giuseppe Verdi” di Gubbio e “S. Cecilia” di Fossato di Vico guidate da Paola Paolucci. Alla fine di “Bellissima” gli occhi si riempiono di lacrime e uno si domanda, nel ricordo e nel rimpianto, se e dove sia oggi reperibile quel tipo di donna/quercia impersonato in maniera sublime da Anna Magnani, con quel suo impiantare l’orgoglio smisurato della donna e della madre di borgata sulla gracile trama di un quotidiano familiare segnato dalla frequentazione della stampa rosa, di quel “Grand Hotel” che allora, settimanalmente, le edicole aperte davanti ai laboratori femminili esponevano in pile alte due metri, viste e sparite durante la sosta del pranzo. Alla fine del “Requiem” di Mozart, pensate un po’ quello che mi è venuto in mente, insieme all’orgoglio che gente delle mie parti, impiegati del comune e casalinghe, professoresse e giovani pensionati, abbiano messo insieme tanta passione e tanta vis comunicativa, pensate un po’ cosa m’è venuto in mente? M’è venuta in mente una domanda: ma come fanno “quegli imbecilli” a negare l’evidenza delle radici cristiane dell’Europa? Fiori del genere del “Requiem” di Mozart su quale altro humus potevano nascere, di quale altra visione del mondo potevano alimentarsi l’abbandono che ricorda a Cristo Quod sum causa tuae viae (Sono io che t’ho portato quaggiù) e il terrore che esplode al pensiero della suprema contestazione (Confutatis maledictis) di una vita farcita di cianfrusaglie, da parte del Rex tremendae maiestatatis? Quali altre radici, imbecilli del cuor mio? Pensavo. E penso. Ritiro l’epiteto, confermo la domanda.