Droga? La risposta non è medica

Sul problema, grave in Umbria, un intervento di don Lucio Gatti, impegnato nella lotta alle emarginazioni

Dall’inizio dell’anno abbiamo contato 22 vittime per droga in Umbria. Con lo 0,27 di decessi ogni diecimila abitanti, la nostra regione è ai vertici di una graduatoria per nulla gratificante. Un dato allarmante, come del resto allarmante è diventata, a livello nazionale, la problematica della tossicodipendenza, tornata nelle prime pagine della cronaca dopo i casi di morti per overdose degli ultimi mesi. Ma la droga continua a circolare e a mietere vittime, anche quando non se ne parla. L’argomento è scomodo, ma va approfondito. Una voce autorevole, perché da vent’anni in prima linea a confrontarsi con il problema della droga, è quella di don Lucio Gatti, direttore della Caritas diocesana. Basta passare con lui una mattinata per rendersi conto di quanta attenzione occorra per occuparsi, tra altre tantissime cose, di questo problema: un continuum di telefonate, gestite con incredibile pazienza e determinazione, e con la lucidità di chi il problema lo affronta da vicino. Di don Lucio colpiscono le parole, mai banali, dette con una chiarezza e una semplicità che appassionano, ma una frase in particolare non si scorda: ‘I drogati sono i profeti del nostro tempo, si uccidono per non morire’. Una considerazione che ben riassume la sua posizione di fronte alla droga. Per lui, infatti, questo problema deriva da un malessere esistenziale: ‘Per quanto riguarda la mia esperienza ventennale rispetto alla droga, non ho mai studiato il fenomeno dal punto di vista esclusivamente medico, magari approfondendo gli effetti collaterali. Ho sempre cercato invece di andare alla ricerca del perché una persona si droghi. Questo approccio al problema l’ho sviluppato con il rapporto continuo con tanti ragazzi, e sono giunto alla conclusione che alla base c’è un problema esistenziale. La droga inizia con il malessere della propria esistenza, quando si iniziano a perdere tutti gli orientamenti della propria vita’. Quali sono le spinte sociali ed emotive? ‘Da una parte c’è un mondo che prospetta un paradiso terreno, che ognuno deve trovare. Così, tutti iniziano questa ricerca, e se un ragazzo non ha basi esistenziali forti si può perdere. Attraverso la droga si va in cerca di momenti estatici di cui si ha bisogno, perché è innato nella nostra natura, e questo riporta inevitabilmente alla necessità di trascendenza di ogni uomo. C’è inquietudine per il bisogno di sentirsi una persona realizzata, di avere un’esistenza che sia utile, che abbia uno scopo. Certo è difficile raggiungere questo traguardo quando non si hanno modelli di riferimento, a partire dalla famiglia’. I motivi sono sempre gli stessi? ‘Da 20 anni a questa parte il consumo di droga è molto cambiato. I drogati di vent’anni fa erano quelli che vivevano sotto i ponti, gli anticonformisti, quelli che protestavano. Oggi è tutta un’altra storia, la droga è solo fonte di piacere, c’è solo desiderio di sballo. È paradossale che i ragazzi, a partire dall’esigenza di star bene, assumano le droghe e finiscano per stare male’. Ma oggi è così facile procurarsela? ‘La trovi in ogni angolo: a Perugia ci sono le zone della stazione, del centro, quella universitaria’. E per uscire? ‘Le comunità considerate luoghi di recupero terapeutico non hanno assolutamente nessun esito, pochissimi sono i risultati positivi. Le prime comunità sono nate 30 anni fa dai preti. Poi è stata varata una legge, soprattutto per spinta di una lobby di medici, dopodiché il drogato è stato affrontato da un punto di vista sanitario, non esistenziale. Il drogato è considerato come un malato. Così però non si esaurisce il problema, il drogato va recuperato in comunità che non siano esclusivamente per tossici, ma che siano luoghi di vita. Nella comunità si riacquista la dimensione più autentica, che è quella della relazione; solo così si risolve il problema esistenziale. Tanto più torni ad essere isolato, tanto più i tuoi bisogni si elevano’. E il suo impegno? ‘Noi non ci siamo inventati le comunità per il problema della droga. La comunità non è una realtà di recupero, ma un cammino di vita che ti permette di fare chiarezza con te stesso. Come si fa a parlare di recupero con programmi prestabiliti? Per qualcuno possono essere sufficienti tre anni, per alcuni cinque, ma ogni persona è diversa. In definitiva, il problema della droga deve riguardare tutti: comunità deve essere tutto il tessuto delle nostre parrocchie, dei nostri rapporti, del nostro ambiente. E non occorrono gli esperti, perché la soluzione è semplice: ritornare a vivere uno stile di vita diverso di fronte al fallimento della modernità’.

AUTORE: Martino Bozza