Ci sono date significative che segnano la storia, e che a volte, per ironia della sorte, ritornano a sottolineare i cambiamenti e le rinascite.
Il 20 maggio 2010 è l’ennesimo giorno tormentato per i tifosi del Perugia. La città ha ormai dimenticato i fasti della serie A e della coppa Uefa raggiunti solo pochi anni prima. In quelle settimane si susseguono episodi grotteschi da parte della dirigenza Covarelli per salvare il salvabile. Quel giovedì si chiude l’agonia, e dopo pochi anni il calcio a Perugia scompare di nuovo. Davanti al tribunale, tra i tifosi in attesa, c’è chi piange e chi non perde la speranza che si possa mantenere la categoria, sempre che qualcuno acquisti in tempo utile il titolo sportivo all’asta fallimentare. Saranno altri giorni di illusione e sconforto per i tifosi. I vani tentativi di improbabili cordate o di personaggi pittoreschi andranno in fumo, e l’asta fallimentare resterà deserta. Il Perugia ripartirà dai dilettanti, e paradossalmente lo farà passando dalla serie A alla serie D senza essere mai retrocesso sul campo.
Il 20 maggio 2012 l’atmosfera che si respira è molto diversa. Il Perugia conquista il terzo trofeo in due anni, la supercoppa di Lega Pro seconda divisione, e nello stesso giorno conclude la stagione che lo riporta in Prima Divisione, riprendendosi a due anni esatti di distanza ciò che aveva perso. È un Perugia, quello odierno, lanciato verso traguardi più prestigiosi. Lo fa con una dirigenza nuova, ambiziosa e ancora una volta non perugina.
Piove il 20 maggio 2012, piove come a luglio 2010 a Casa del Diavolo, sede di una delle prime amichevoli. Quel giorno uno splendido arcobaleno, quasi profetico, accompagna il “nuovo” Perugia dei dilettanti. È l’inizio di due anni sorprendenti. Molti avrebbero pensato alla fine definitiva del calcio a Perugia, invece si ricrea una passione genuina, accompagnata dalla riscoperta di simboli come la maglia storica con il Grifo sul petto e di “vecchie” figure dirigenziali troppo presto accantonate. Si stabilisce un legame schietto e sincero tra la dirigenza Damaschi e lo “zoccolo duro” del tifo perugino.
Si respira da subito un’aria di rinascita, frutto non dei risultati ma dell’atmosfera di pulizia e di novità, la voglia di esserci, nascosta sotto la cenere e pronta ad emergere. Si percepisce che non importa se si deve raggiungere Montone per una amichevole o Deruta per il campionato. Quella palla che rotola in rete ha lo stesso effetto gioioso sia che ci si trovi a Pian Castagnaio sia che ci si trovi a San Siro, ora in D come prima in A, recitano i tifosi.
Questo spirito è ciò che chiede la città oggi al duo Santopadre-Moneti. Ed è questa la sfida più grande che la nuova dirigenza dovrà affrontare: trovare un equilibro tra l’ambizione di riportare in alto il Perugia e il mantenimento di un calcio fatto di valori e di entusiasmo, di semplicità e di pulizia. Trovare il compromesso tra la passione viscerale dei campi polverosi di campagna e il mondo scintillante ma pericoloso del calcio da copertina. La grande lezione di questi due anni è sicuramente questa: le vittorie riportano l’entusiasmo, ma non vanno conquistate a discapito dei simboli e dei valori semplici.