“Non abbiate paura”. Facile a dirsi. Di paura ne abbiamo, tanta e più d’una. Paura dinanzi alla vigliacca strategia del terrorismo, che genera diffidenza e timore proprio nei luoghi e nei tempi della vita quotidiana, del divertimento o perfino della preghiera. Paura delle masse migratorie in movimento verso l’Europa, per la cui diversità culturale e religiosa si evocano scenari di colonizzazione e di scontro di civiltà, alle porte delle nostre case. Paura di un futuro economico denso di incertezze e povero di prospettive, per cui ogni impegno sembra vano.
Paura dei cambiamenti dell’ambiente, sempre più evidenti e – chi lo sa? ineluttabili. Paura di essere abbandonati da chi dovrebbe prendersi cura del bene comune. Paura di rimanere da soli dinanzi alle prove della vita. Paura dell’altro, che non conosco più, che non guardo più negli occhi, di cui non è più scontato fidarmi, anche se dorme nello stesso letto o guida l’autobus che dovrebbe riportarmi a casa. E così via.
“Non abbiate paura” potrebbe risultare uno slogan clericale a buon mercato, una di quelle frasi del Vangelo (cfr. Mt 14,27; Gv 16,33) – platealmente fuori dal mondo – utili per una bella predica o per un commovente biglietto d’auguri. Da considerare, benevolmente o astiosamente, come buonismo.
“Non abbiate paura”, invece, è tutt’altro che un’esortazione ingenua; è l’invito di Uno che ha subìto fino in fondo l’abisso dell’ostilità e della cattiveria altrui, senza però farsi trascinare a rispondere al male con il male. Di Uno che ha sconfitto la malvagità e la morte proprio passando attraverso la malvagità e la morte. È come la sintesi dell’esperienza pasquale di Cristo e di tanti credenti di ieri e di oggi. A ben vedere, è divenuta la cifra di una civiltà, quella cristiana, che ha saputo infondere nelle persone una basilare fiducia nella bontà dell’uomo, della vita, delle cose.
E che su questa fiducia ha costruito monumenti d’arte, di pensiero, di spiritualità, d’educazione, di convivenza. Anzi, li ha più volte ricostruiti sulle macerie della stupidità. Gloriosamente. È un’ipotesi di lavoro radicalmente alternativa a quella dell’odio e della violenza; un’ipotesi che è probabilmente ragionevole per tutti accogliere come l’unica davvero percorribile, anche dinanzi alle stragi efferate di questi giorni. La paura, infatti, non può condurre che al radicalizzarsi delle divisioni, delle incomprensioni, delle chiusure, dei fondamentalismi, del tutticontro- tutti. Chi se ne lascia vincere imbocca vicoli ciechi; chi la genera, e anche chi la cavalca, commette un crimine.
Abbiamo più che mai bisogno, in questa Pasqua, di lasciarci liberare dalla schiavitù della paura celebrando l’avvenimento pasquale nella vita di Gesù e nella vita nostra: permettergli cioè di ispirarci un modo nuovo di fronteggiare i problemi, con la indefettibile forza del bene. Costi quel che costi, perché sappiamo che nessun prezzo viene pagato invano. “Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina… Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell’anima” (M. L. King, discorso a Washington, 28 agosto 1963).
Buona Pasqua, caro amico lettore. Non avere paura.