Docibilitas, ovvero mparare ad imparare

Parola di vescovo

L’evangelista Marco riassume la predicazione di Gesù così: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (1,15). Precede l’indicativo del dono, segue l’imperativo della conversione (metanoeite: cambiamento di mentalità) e della fede. Indicativo e imperativo vanno insieme. Il primo fonda e provoca il secondo. In modo crescente e permanente, il dono del regno di Dio chiede sempre più l’adeguamento del nostro modo di pensare, di amare e di vivere secondo il Vangelo. È questa l’affermazione fondamentale dell’educarci alla vita buona del Vangelo, non dando per scontato che noi vescovi, sacerdoti e fedeli laici abbiamo solo il problema di come educare gli altri, facendone principalmente una questione di comunicazione linguistica o ermeneutica. In verità: educandoci educhiamo. Evidenziando possibilmente la bellezza affascinante del Vangelo… vissuto. È la disponibilità ad un discepolato permanente, a tutto campo. Anche perché il Maestro resta sempre e solo Lui. Se questo è vero, la formazione permanente, intesa come conversione permanente, determina la qualità della vita e quindi la reale capacità educativa. Mi riferisco al testo di A. Cencini, Formazione permanente: ci crediamo davvero?, Edb, 2011. Dopo aver osservato che nel documento Cei manca il riferimento alla formazione permanente del sacerdote, afferma che la formazione permanente è una costante rivitalizzazione della persona tutta intera. “Se l’esistenza del prete o del consacrato non esprime una volontà costante ed effettiva di conformazione progressiva alla personalità del Figlio, ciò crea una contraddizione di fondo che rompe l’unità e l’armonia interiore dell’essere umano. E lo pone in conflitto con se stesso, nervoso e arrabbiato, o depresso e annoiato. Di fatto quando l’uomo si contraddice non può essere felice, ma avvertirà più o meno pesante dentro di sé una sensazione di smarrimento personale, d’inconcludenza in quel che fa, di non efficacia nel suo ministero, l’incapacità di arrivare al cuore della gente, di tristezza o sottile depressione. Insomma, se non va in onda la formazione continua, la vita sarà frustrazione continua” (p. 47). La formazione permanente non è principalmente questione di contenuti da apprendere, quanto piuttosto una reale disponibilità interiore a conformarci ai sentimenti di Cristo (cf Fil 2,5) a livello intra-psichico e spirituale. È opera dello Spirito che, assecondato da noi, genera e alimenta progressivamente la vita secondo lo Spirito. Essenziale per vivere la formazione permanente è la docibilitas, che è “la piena intraprendenza dello spirito, o una forma alta di intelligenza, forse la più alta”, che porta il soggetto a cogliere “l’opportunità formativa di cui la realtà medesima è sempre piena, e di cui egli ha bisogno per la sua crescita. Intelligente quanto basta, dunque, per accorgersi di quanta grazia ci sia attorno a lui, e libero in misura corrispondente, tanto da lasciarsi da essa formare. È persona saggia, che così acquisisce sempre più il dono e la virtù biblica della sapienza”. La persona “docibile” è “libera d’imparare a imparare la vita dalla vita e per tutta la vita” (p. 54). Qui si gioca la nostra personale libertà-responsabilità quotidiana dinanzi agli appelli di Dio, degli uomini, della storia che, a questo punto, diventa storia sacra. “Non avere paura che la vita possa finire. Abbi invece paura che possa non cominciare mai” (J. H. Newman).

AUTORE: Domenico Cancian ofs