Fanno tutto loro: maggioranza e opposizione. Per obiettiva, riscontrata e persistente scomparsa di un’opposizione. A cominciare da quella di una sinistra che, dal Pd in avanti, non riesce a tirarsi fuori dalle sabbie mobili di eterne, storiche e ricorrenti diatribe interne, con un di più di distacco dalla realtà vera delle classi sociali da cui dovrebbe trarre il proprio consenso.
“Loro”, i due contraenti del contratto di governo, sono Lega e cinquestelle: dopo una campagna elettorale in vista del voto del 4 marzo 2018 vissuta all’insegna di una forte contrapposizione, da giugno scorso convivono in una maggioranza che litiga e si divide praticamente su tutto, ma regge, a dispetto delle reiterate previsioni di caduta dell’Esecutivo.
Elencare i temi di disaccordo richiederebbe uno spazio troppo grande, e sarebbe una perdita di tempo, visto che alla fine – come si dice dai tempi di Umberto Bossi – i due soci del Governo gialloverde riescono sempre a ‘trovare la quadra’.
È successo anche nel corso di questa settimana, con il Def (Documento di economia e finanza). Salvini, ritratto con un calice di vino in mano all’inaugurazione del Vinitaly a Verona, ha spinto forte per la cosiddetta flat tax, cioè una tassa piatta al 15 per cento, uguale per tutte le fasce di reddito.
“Così favorisce i ricchi. Serve un criterio di progressività” gli ha risposto il leader pentastellato Luigi Di Maio dal salotto televisivo di Fabio Fazio. Controreplica del vice premier/vero premier leghista da Milano, mentre ufficializzava l’alleanza con i sovranisti di altri Paesi europei in vista del voto per il Parlamento di Strasburgo: “Se è flat tax, non può essere progressiva”. La quadra, in questo caso, sembra essere stata trovata limitando la tassa piatta ai redditi che non superano i 50 mila euro.
I due, Salvini e Di Maio, si sono beccati anche su temi più strettamente legati al voto europeo: il leader grillino ha sparato a zero sulle alleanze continentali del capo leghista (“Non si sta con chi nega l’Olocausto”), ricevendo una replica al vetriolo dal suo socio/cocorrente: “Lui è andato dai gilet gialli francesi, creando problemi diplomatici”.
Più si avvicina il voto europeo di maggio, che prevede il sistema proporzionale, più i temi di divisione fra Lega e cinquestelle sono destinati ad aumentare. Con una Lega dominante nei sondaggi e un Movimento grillino in arretramento. Anche questa considerazione ha spinto Di Maio a scrivere una lettera al Corriere della Sera in cui chiede una sorta di tregua alla Lega.
Salvini lo ha rassicurato: “Qualsiasi risultato alle europee non inciderà sulle sorti del governo”. Tutto a posto? Dipende. Proprio i sondaggi di questa settimana danno i due partiti al governo, per la prima volta da dieci mesi, poco sopra al 50 per cento, quando in precedenza avevano veleggiato addirittura intorno al 60. E la Lega, per la prima volta, non cresce.
Da qui il pressing di Salvini per il calo delle tasse, anche per non perdere consenso nel ‘suo’ Nord. Da qui l’insistenza, all’opposto, del leader grillino su temi che potremmo definire ‘di sinistra’ (anche allo scopo di contrastare un’eventuale rimonta del Pd): sul tema delle case agli italiani di origine rom, per esempio, Di Maio ha sollecitato Salvini a sgomberare non solo i campi nomadi, “ma anche le case occupate da CasaPound”.
Insomma, fibrillazione permanente, ma senza esito dirimente. Forse neanche il voto europeo servirà a fare chiarezza. La recessione e le misure economiche della prossima legge di bilancio: ecco, probabilmente da lì in poi sarà più difficile, per la maggioranza gialloverde, riuscire a trovare la famosa ‘quadra’.
Daris Giancarlini