Quando i fanciulli ebrei assistono all’inconsueta maniera di preparare la tavola per la cena pasquale, secondo il rito familiare della loro millenaria tradizione, con le erbe amare, l’uovo, le coppe di vino, l’agnello, i pani azzimi, domandano agli adulti: perché questa sera è diversa dalle altre? Gli adulti devono rispondere: perché è Pasqua, in quella notte siamo stati liberati dalla schiavitù. E iniziano la narrazione della loro storia. In essa ritrovano le radici della loro identità, il senso del loro essere al mondo come popolo, la dignità della loro esistenza personale, l’attaccamento alle loro tradizioni.
E se c’è un fanciullo semplice, immaturo, o distratto e perciò incapace di cogliere la diversità e di formulare la domanda, il genitore deve aiutarlo a percepire le diversità che caratterizzano quella cena e suggerire la risposta, semplice ed essenziale, che di anno in anno, con la crescita fisica e mentale dei bambini, diventerà sempre più chiara, adeguata all’età. Sarà una spiegazione che illuminerà la loro vita e li farà consapevoli di appartenere a un popolo scelto per un destino da portare a compimento al cospetto dei popoli e dell’intera umanità. In quella sera viene ricordato il tempo dell’afflizione: “eravamo schiavi ed era stata stabilita una legge contro i bambini: dovevano essere uccisi nelle acque del Nilo. Eravamo un popolo destinato all’estinzione. Ma la mano del Signore è stata più forte, egli ha trionfato sui nostri oppressori. Noi siamo ancora vivi perché abbiamo avuto fede nella Pasqua. Abbiamo accettato di attraversare il mare e il deserto. Il Signore ci apre ogni volta una strada e ci libera ognora da ogni schiavitù”.
Quello che celebrano i cristiani è un rito che si innesta su quello ebraico. Anche nel nostro tempo ci sono dei fanciulli che non sanno e devono scoprire il significato dei segni presenti nelle celebrazioni pasquali. Nelle famiglie e nelle assemblee religiose devono suscitare le domande e dare risposte di significato trasmettendo la fede nella Pasqua: “eravamo pagani, senza Dio e senza speranza in questo mondo, oppressi da ogni sorta di idolatria e schiavitù. Ma Dio ci ha liberati, ha mandato il Figlio, è stato appeso sul legno con i ladroni ed è risuscitato il terzo giorno. Con lui anche noi, destinati alla morte, siamo stati riportati in vita. Eravamo perduti e siamo stati ritrovati, eravamo dispersi e siamo stati radunati. La notte non è più notte, risplende il cero pasquale che accende ogni fiaccola di speranza nella vita di ognuno. Il popolo che era nelle tenebre è diventato una città illuminata che risplende sul monte in faccia a tutti i popoli”.
Ditele ai vostri figli queste cose, suscitando le domande, facendole, prima ancora, a voi stessi. Non accontentatevi di dire Buona Pasqua e di regalare la colomba e l’uovo. Perché la colomba e perché l’uovo? Siamo nel tempo dello smarrimento e dello smemoramento, della dimenticanza. La Pasqua è la vita del popolo cristiano come lo fu dell’ebreo e la sua memoria (memoriale) ha la forza della narrazione che attua ciò che racconta. Dopo tutto ciò si potrà ben dire Buona Pasqua! E avrà un senso. E ditegli anche che quest’anno 2001 è una Pasqua speciale, perché per una coincidenza di calcoli astronomici collegati al ciclo lunare, i cristiani d’Oriente e d’Occidente, l’intera cristianità sparsa in tutte e le isole lontane del pianeta terra, si ritrova unita nell’acclamazione: “Cristo nostra Pasqua è stato immolato ed è risorto. Alleluja!”.