Diritti negati? Non dai cattolici

Abbiamo sentito a piazza Navona accusare i cattolici di non voler riconoscere i diritti di tutti le persone; che i cattolici sono coloro che escludono parte dei cittadini dall’usufruire diritti che invece competono loro; che piazza San Giovani sarebbe stata una piazza escludente, mentre piazza Navona era inclusiva. Presentata così la cosa non può che far riflettere un cattolico: ma veramente, io cattolico, non voglio riconoscere a tutti i diritti che invece hanno? Sarei in contraddizione con me stesso, con il Vangelo! Sono interrogativi che mi devo porre. E la Chiesa sarebbe anch’essa, a sua volta, contraddittoria: mentre parla di diritti umani, poi, di fatto, si mette di traverso al riconoscimento effettivo di tali diritti? Occorre pertanto riflettere su questa parola ‘diritti’ e su quello che questa parola racchiude. Quello che si chiede per le coppie di fatto, in genere, e per le coppie omosessuali., in particolare, rientra nel campo dei ‘diritti’? C’è bisogno di far pulizia nel linguaggio. La confusione linguistica porta a confusioni che intorbidano tutto il dibattito. L’abilità di una parte della nostra società è stata sicuramente quella di aver chiamato ‘diritti’ quello che essa chiede, e quindi di far passare l’altra parte come disumana perché non disposta a riconoscere tali ‘diritti’. Si tratta di diritti che nascono da rapporti tra privati? Bene. Nessun cattolico dice che non debbano essere riconosciuti e anche tutelati dallo Stato per la parte che gli compete. E questi diritti riguardano l’area delle obbligazioni che i cittadini liberamente e reciprocamente si scambiano, e di cui lo Stato diventa arbitro in caso di inadempienze da parte di uno dei contraenti e garante dei risarcimenti. Si tratta di diritti a prestazioni pubbliche? A che titolo dovrebbero essere considerati tali? Semplicemente perché una parte rumorosa, che occupa i giornali, le televisioni, fa un battage pubblicitario serrato? E perché negarli? Solo perché un’altra piazza, magari più numerosa, nega tale possibilità? Alla fine, chi strilla di più, vince? In dottrina si considera riferito a quest’area di diritti ogni rapporto tra individuo e potere pubblico (lo Stato) in cui il primo vanti una posizione giuridica soggettiva di vantaggio a fronte di un interesse pubblico. Lo Stato, pertanto, ha diritto di chiedersi quale interesse pubblico tuteli nel trasformare le richieste e le aspirazione di una parte di cittadini in diritti a prestazioni pubbliche, e ha diritto di fare una graduatoria e quindi una selezione tra queste aspirazioni. La sua decisione potrà anche non soddisfare tutte le richieste. Ad esempio, non tutti sono d’accordo su come il potere legislativo ha regolamentato le prestazioni pubbliche in materia di incentivi alle industrie, non tutti saranno d’accordo su come lo Stato legifererà in materia pensionistica’ e così via. In questo caso però le parti che rimangono scontente non dicono che non sono stati riconosciuti i loro ‘ diritti’; diranno piuttosto che è stata fatta una cattiva politica. Ed è loro diritto affermarlo e aspettare le elezioni per punire la politica. Non basta neppure dire che bisogna prendere atto della pluralità delle situazioni di fatto. Bisogna invece chiedersi quale tra le tante situazioni di fatto vada più nella direzione dell’interesse generale. Necessita pertanto prendere atto che non si tratta di ‘diritti negati’, di ‘diritti sociali conculcati’. Si tratta più semplicemente di desideri legittimi che si avanzano; ma, nel caso che il potere pubblico non li accolga, non si scade nel caso dei diritti conculcati. Tutti coloro che hanno riserve nel trasferire queste richieste dal campo dei diritti della persona e dei diritti civili al campo dei diritti pubblici, si muovono nell’ambito della piena legittimità, e non sono contro i diritti di chicchessia.

AUTORE: Gianni Colasanti