Dio dei vivi e non dei morti

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Giulio Michelini XXXII Domenica del tempo ordinario - anno C

Gesù è ormai arrivato a Gerusalemme. È entrato in città e nel tempio; ne ha preso possesso, e ora lì insegna con autorità. Dal racconto della chiamata di Zaccheo il nostro lezionario ne ha fatta di strada, tralasciando quelle pericopi che ascolteremo in altri momenti, e ci ha portati ad affrontare due temi che bene si addicono alla fine dell’anno liturgico: la risurrezione (questa domenica) e la fine dei tempi (la prossima). Saremo così in grado di prepararci alla celebrazione della solennità di Cristo Re. I ricchi sadducei. Questa volta non sono i farisei o i sacerdoti a provocare Gesù, ma i sadducei.

Di questo movimento sappiamo poco. Il nome deriva probabilmente dal sommo sacerdote Sadoq (1 Re 2,35), custode dell’arca al tempo di Salomone. Erano un movimento di benestanti e proprietari terrieri. Così li ritrae lo storico dell’epoca Giuseppe Flavio: “Essi non fanno praticamente niente: quando infatti assumono qualche carica, contro voglia o per necessità, accedono a quanto dicono i farisei, perché altrimenti non potrebbero riuscire accetti alla massa del popolo” (Ant. 18.I.4). Importanti sono le differenze dottrinali con i farisei: i sadducei rifiutavano ogni tradizione normativa al di fuori della Legge e dei Profeti, e al contrario dei farisei, con spirito conservatore, si attenevano soltanto alla Legge scritta: ancora Giuseppe Flavio attesta che “quanto ai sadducei, la loro dottrina fa morire le anime insieme con i corpi” (ibid.).

I due elementi – Legge scritta e risurrezione – sono strettamente connessi. È chiaro infatti che proprio il tradizionalismo dei sadducei “faceva loro rifiutare praticamente tutte le dottrine non attestate, o anche solo scarsamente attestate, nella Bibbia ebraica” (Soggin): così la risurrezione dei morti, che appare solo raramente e in epoca tardiva nella Bibbia, ed è presente in modo chiaro ed esplicito solo nel Nuovo Testamento; così anche per le altre dottrine (angelologia e demonologia). Gesù con i farisei, come sappiamo, ha un rapporto conflittuale. Ma mentre questi scompaiono negli ultimi momenti della sua vita, i sadducei del sinedrio ricompariranno in modo netto durante il suo processo: anzi, proprio i sadducei, insieme ai sacerdoti-capi ed anziani, sono le figure dominanti del processo contro Gesù e i maggiori responsabili della sua condanna. Gesù infatti, con il gesto clamoroso della cacciata dei mercanti dal tempio, aveva portato un attentato al loro sistema rituale, alla loro religione del tempio, e anche ai loro interessi economici.

Risurrezione? La controversia narrata nel vangelo di oggi si trova anche in Mc 12,18-27. Non è nostro compito vedere le due diverse prospettive: ci concentriamo solo sul racconto lucano. Anche lì comunque i sadducei dicono di conoscere la Legge, e la citano, infatti, dal libro del Deuteronomio 25,5-10, che tratta della questione del levirato (cioè dell’obbligo per un uomo di sposare la moglie del fratello morto senza discendenza). Ma una cosa è dire di conoscere la Legge, l’altra capirne il senso profondo. Per tale ragione Gesù può rimproverare i sadducei dicendo loro “Voi siete gravemente in errore” (Mc 12,27) e “non conoscete né le Scritture né la potenza di Dio” (Mc 12,24), quando questi credono di esemplificare la legge del levirato arrivando alla conclusione che la risurrezione è impossibile.

L’errore della visione dei sadducei è che questa “presuppone una visione piuttosto materiale dell’aldilà: la risurrezione consisterebbe in un ritorno alla vita terrena soltanto migliorata e potenzializzata; si proietta nell’aldilà il positivo della vita terrena, in particolare le gioie, la fecondità e la fertilità. Ci sarà dunque anche un ritorno alla vita matrimoniale” (Rossé). Come angeli del cielo. Gesù si sposta invece su un altro piano. Anzitutto chiarisce che l’unione sessuale è una realtà del tempo presente, è legata alla condizione mortale dell’uomo, alla trasmissione della vita e della specie, al primo comandamento di Dio, ovvero alle prime parole di Dio all’uomo: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra” (Gn 1,28). Nell’altra vita quel comando non servirà più, ci sarà un “superamento del rapporto sessuale, visto che l’uomo sarà immortale”. “Ma l’essere come angeli non significa che la natura dell’uomo viene trasformata in quella angelica. L’uomo risorto non è disumanizzato, e questa novità non esclude la realtà del sesso e non annulla l’amore vissuto sulla terra” (Rossé).

Ognuno, cioè, conserverà il proprio corpo sessuato, la propria personalità (Catechismo della Chiesa cattolica, 298: “Dio, poiché può creare dal nulla, può anche, per opera dello Spirito Santo, donare […] ai defunti, con la risurrezione, la vita del corpo”, e anche i rapporti interpersonali che si sono creati sulla terra non potranno essere cancellati. Infine Gesù afferma che Dio è un Dio della vita, è fedele, e quindi non può smentire se stesso: la vita donata agli uomini non è stata data per gioco o per inganno, e non può finire. La vita dei patriarchi ne è un esempio. Ma siamo entrati in un campo difficile e delicato, e dobbiamo sapere – come spiega bene Ratzinger nel suo trattato Escatologia. Morte e vita eterna (Cittadella 1979) – che “è del tutto impossibile immaginare anche solo approssimativamente un benché minimo dettaglio circa il mondo della risurrezione”. Ci viene in mente una poesia di D.M. Turoldo dai suoi Canti Ultimi: “Non so come, non so dove, ma tutto / perdurerà: di vita in vita / e ancora da morte a vita / come onde sulle balze / di un fiume senza fine”.

AUTORE: Giulio Michelini