Dopo la ricerca, la chiamata. Domenica scorsa erano i discepoli a cercare Gesù; oggi è lui a cercare loro. Le due cose non sono poi così diverse: noi cerchiamo lui perché lui cerca noi; senza la calamita della sua grazia, che ci attrae dal di dentro, nessuno di noi potrebbe trovarlo. È sempre Dio ad avere l’iniziativa. Il bello è che lui cerca tutti, ma pochi rispondono alla sua chiamata. Gesù dirà con tristezza: “Molti sono i chiamati, pochi gli eletti” (Mt 22,14). Gli eletti sono quelli che rispondono all’amore di Dio che chiama. Alla conversione segue sempre una vocazione, cioè un compito specifico che Dio assegna. È nella fede che si prende coscienza del proprio posto nella Chiesa. Nessuno può rifiutare impunemente l’incarico che Dio gli propone, come nessuno può considerarsi disoccupato nell’azienda di Dio per la salvezza del mondo. Il Vangelo di Marco ci descrive oggi come nasce l’avventura della chiamata e della missione cristiana, quella che dovrebbe coinvolgere anche noi. Tutto comincia con la predicazione di Gesù.
Dopo l’uccisione di Giovanni Battista, che lo aveva presentato al popolo sulle rive del Giordano, Gesù risale in Galilea, da dove è venuto, e riprende l’annuncio del regno di Dio fatto dal Precursore proprio nel punto in cui questi l’aveva dovuto interrompere: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al vangelo”. L’attività di Gesù comincia in Galilea e qui si svolgerà per gran parte della sua vita terrena. Il suo annuncio è composto di quattro brevi frasi abbinate. Inizia con la constatazione che il “tempo è compiuto”. Il piano di Dio aveva scadenze ben precise, alle quali Gesù si adegua: la morte di Giovanni il precursore era una di queste. Da qui doveva iniziare l’annuncio del Vangelo. Gesù lo vede e capisce che è ormai tempo di agire. Due parole speciali risuonano sulle sue labbra: il regno di Dio e il Vangelo. Gesù annuncia solennemente che il regno di Dio è venuto (énghiken).
Il Regno è la sovranità salvifica potente di Dio che fa irruzione nella storia per mezzo di Gesù. In lui ormai Dio è presente e agisce in modo irresistibile per salvare il mondo, con la sua parola, con i suoi miracoli, con la sua morte e risurrezione. È questo il Vangelo, “la bella notizia” da accogliere con mentalità nuova (la conversione), perché capace di sconvolgere ogni aspettativa umana. La regalità salvifica di Dio non irrompe in maniera forte e violenta in Gerusalemme, come si aspettavano i giudei del tempo, ma in modo umile e quotidiana in Galilea; non al centro, ma in periferia. Dio si è fatto vicino senza spaventare nessuno, come un Padre che cammina amorevolmente accanto ai figli da educare e salvare. Questa è “la meravigliosa notizia” (in aramaico: besorah) portata con entusiasmo da Gesù nel suo grido iniziale. Per indicarla i cristiani di lingua greca usarono il termine euanghèlion (vangelo), che la contiene ed esprime nella etimologia composta da eu (bella) ed anghélion (notizia).
Marco la usa ben otto volte nel suo scritto. Gesù esorta i suoi primi ascoltatori a crederci. Non era facile ieri e non è facile nemmeno oggi, credere ad un Dio innamorato di noi uomini fino al punto di donare il suo unigenito Figlio per salvarci e non per condannarci (Gv 3,16s). Dimenticare questo amore assoluto e incondizionato di Dio significa svuotare il Vangelo del suo contenuto. Per crederci si deve operare in noi un cambiamento radicale (conversione) di mentalità e di cultura. In noi c’è ancora una profonda radice pagana mai estirpata che concepisce la divinità come capricciosa, insensibile, vendicativa. Credere che “Dio è amore” significa operare una rivoluzione copernicana nel nostro pensiero e nel nostro agire. Ma questo è il Vangelo che Gesù è venuto a testimoniarci con la sua vita. Da questa convinzione nasce il desiderio di collaborare con lui nel portare al mondo questa bella notizia.
Per questo Gesù, dopo averla annunciata, va in cerca di collaboratori, che chiama ad unirsi a lui in questa missione. Questo spiega perché al primo annuncio del vangelo segua la chiamata dei primi discepoli. È una scena di vocazione-tipo, valida per tutti i tempi. Riguarda due coppie di fratelli, quattro persone in tutto. Il numero 4 significava l’universalità, perché nella cultura del tempo faceva riferimento ai quattro punti cardinali; indicava che quella chiamata non era limitata al lago di Genezaret, ma si allargava al mondo intero in tutti i tempi e le latitudini. Che i primi chiamati siano fratelli rivela l’intenzione di Gesù di creare una comunità di figli di Dio basata sulla fratellanza. Tutti chiamati e tutti fratelli. Gesù li manderà poi a due a due come li aveva chiamati (6,7). Cinque verbi indicano l’agire di Gesù: passò, vide, disse, venite, vi farò; due verbi indicano la reazione dei discepoli: lasciarono tutto, lo seguirono. Il passaggio di Gesù richiama il passaggio (la Pasqua) di Dio nell’Esodo, quando Dio raccolse e mise in cammino il suo popolo liberandolo dalla schiavitù; sulle rive del lago sta nascendo il nuovo popolo di Dio impersonato dai quattro convocati.
Il vedere di Gesù non è il semplice osservare una scena consueta, che è quella del lancio della rete da pesca; è un riconoscere quelli che Dio ha conosciuto e segnato dall’eternità come discepoli del Figlio. Dio non ci guarda mai con indifferenza neutrale, ci guarda amorevolmente dentro, come un padre guarda suo figlio che ama. A questo punto lo sguardo diventa parola: “Gesù disse”. La sua è parola creatrice, come quella che risuonò all’inizio del mondo. E appunto perché creatrice è efficace, ammaliante. Quei fratelli si sentono conquistati e cambiati e possono rispondere senza esitazione all’invito: “Venite dietro a me”. È iniziato un cammino nuovo di vita, quello della sequela: “Vi farò diventare pescatori di uomini”. Al seguito di Gesù inizia la scuola di missione, che culminerà, dopo la risurrezione, con l’invito ad andare nel mondo intero (Mc 16,15).
Dal venire dietro, nasce la possibilità autonoma di andare. La reazione delle due coppie di fratelli è immediata: “Lasciarono le reti / il loro padre e andarono dietro a lui”. Per Gesù lasciano tutto: “casa, fratelli, sorelle, madre, padre, figli e campi” (10,28s). Proprio da quel sacrificio radicale è arrivato a noi il Vangelo; oggi non saremmo qui se quei primi discepoli non avessero dato tutto per Gesù. Ogni rinuncia per Cristo ha un’efficacia incalcolabile nel tempo e nello spazio. Proviamo anche noi ha fare il primo passo: non ce ne pentiremo. Oscar Battaglia