Prima di passare alla proclamazione continua del Vangelo secondo Marco, come già nel passato anno liturgico, anche quest’anno, proprio in questo periodo, e dopo il Battesimo di Gesù, la lettura evangelica odierna si sofferma sulla testimonianza del Battista. O meglio, essa, questa volta, è come un pretesto per passare alla scena seguente, quella della chiamata dei primi discepoli secondo il racconto giovanneo. Come è facile da vedere, la vocazione dei primi discepoli, nella versione raccontata dal Vangelo secondo Giovanni, differisce dal resoconto dei sinottici. Ciò che la caratterizza è soprattutto la domanda di Gesù a chi oramai lo sta seguendo, ma non dimentichiamo il fatto che qui Giovanni, in qualche modo, si “tira indietro”.
Quello che succede col suo gesto è straordinariamente esemplare. Dice di un Battista che non si limita a dare testimonianza con le parole, ma che con i fatti è conseguente a quello che dice. Già prima – nella scena che precede il vangelo di oggi – Giovanni aveva proclamato pubblicamente che Colui che stava passando era l’agnello di Dio. Ora, nel rivederlo, il giorno seguente (Gv 1,35), ha già preso una decisione. Giovanni è capace di lasciare che i suoi discepoli seguano, d’ora in poi, Gesù. Non diremmo proprio che dà le dimissioni, ma siamo vicini a questa idea. Giovanni non lascia certo il suo ministero di predicazione e testimonianza, ma permette che i suoi discepoli, quelli che lo avevano seguito, che aveva preparato con cura, che aveva istruito su come pregare (cfr. Lc 11,1) o su come digiunare (cfr. Mc 2,18), quelli a cui si era affezionato, quelli che gli davano forse sicurezza, perché lo riconoscevano come il loro “maestro”, ecco, lascia che questi seguano ora un Altro.
Quante volte, nel mondo, ma anche nella Chiesa, nei ministeri affidati per quello che dovrebbe essere un servizio, ci si appropria invece delle poltrone, delle cariche, e non le si abbandona più. Quante volte le persone che fanno parte di un gruppo non sono aiutate a crescere, e magari sono costrette a bere sempre la stessa acqua e a gustare gli stessi sapori e le stesse minestre, perché chi le guida ha paura di lasciarle andare o di offrire l’incontro con altri volti e altre realtà. Dopo che i discepoli sentono il Battista parlare così, seguono Gesù. Le sue prime parole nel Vangelo secondo Giovanni sono non un invito (come il “Seguitemi”, di Mc 1,17) ma una domanda: “Chi – che cosa – cercate?”‘. Diversamente dalle sue prime parole negli altri vangeli, dove Gesù dichiara di voler compiere ogni pratica giudaica di giustizia (Mt 3,15), dove annuncia il Regno di Dio (Mc 1,15), o dove afferma – già da bambino – di voler compiere la volontà del Padre suo (Lc 2,49), qui abbiamo la prima cosa che dovrebbe essere chiesta a ciascuno che si avvicina a Gesù, la domanda che ogni giorno il cristiano dovrebbe porsi.
Perché essere discepoli di Gesù? Oggi, nella nostra società ormai scristianizzata, potremmo dire: perché decidere di rimanere cristiani, in un mondo globalizzato che propone ormai diverse e svariate vie di salvezza? E che differenza tra l’esserlo o il non esserlo? I primi discepoli hanno risposto a modo loro: “‘Dove abiti?”, ora tocca a noi trovare le parole nostre, quelle che toccano la nostra vita (e non quella di altri), quelle che danno a noi le ragioni della nostra fede.Il modo in cui sono chiamati i primi discepoli dice molto anche della vocazione cristiana, non solo quella di speciale consacrazione, ma quella di ogni uomo o donna. La testimonianza portata da Giovanni dà il via ad una interminabile serie di annunci, come in un passa-parola che porta salvezza: Andrea parla col fratello, e non può fare a meno di dire: “Abbiamo incontrato il Messia” (Gv 1,41), e questi parla poi con altri.
È in tale modo che Gesù viene ancora conosciuto, e continua così anche la vita della Chiesa, perché i credenti, come è scritto nella finale del Vangelo di Matteo, ancora oggi sono capaci di “andare, fare discepoli fra tutti i popoli, battezzandoli, e insegnare loro” (cfr. Mt 28,19-20). Solo così Gesù può ancora essere l’Emmanuele, il Dio con noi, fino alla fine del tempo, solo se qualcuno ancora lo annuncia, se gli rende testimonianza, se lo mostra vivo e presente nella sua vita. Un’esperienza, questa, che allora non si può dimenticare più. Come quando i genitori rispondono ai loro figli alle domande sul loro innamoramento, sul loro primo appuntamento e sul primo bacio, così qui il Vangelo ci dice di una memoria netta, chiarissima, ancora vivida perché importante: era “l’ora decima” (Gv 1,39), era quello il momento in cui si è rinati alla vita, perché si è fatto un incontro che ha cambiato tutto.