Nel versetto che precede la scena della trasfigurazione che oggi leggiamo nel Vangelo, Gesù dice ai suoi discepoli: “In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza” (Mc 9,1). Sei giorni dopo questo annuncio, Gesù porta Pietro, Giacomo e Giovanni con sé sopra un monte alto, in un luogo appartato, e si trasfigura davanti a loro. L’episodio è descritto da tutti e tre i vangeli sinottici, ma anche nella Seconda lettera di Pietro. Lì l’Apostolo ricorda, e scrive di essere stato testimone oculare della grandezza di Gesù: “Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: ‘Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto’. Questa voce noi l’abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte” (2 Pt 1,16-18).
La trasfigurazione è inserita in tutti e tre i sinottici all’interno dello stesso contesto, ovvero subito dopo l’annuncio di Gesù della sua passione. È come un “ponte” tra il suo ministero pubblico in Galilea e la sua morte, che da lì a poco avrà luogo a Gerusalemme. Per il lettore del Vangelo secondo Marco, in particolare, la proclamazione di Gesù “Figlio di Dio”‘, che viene fatta dalla voce nella nube, segue altre due analoghe testimonianze: non solo quella del battesimo, quando “si sentì una voce dal cielo” che diceva “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Mc 1,11), ma anche quella – e si tratta di una sottolineatura solo marciana – che troviamo all’inizio del Vangelo, nel primo versetto del primo capitolo (“Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio”).
Ecco che ora, al momento in cui Gesù annuncia la sua passione, è ancor più necessario che quest’idea venga ribadita. Il lettore del Vangelo deve sapere che Dio non abbandonerà il suo Figlio, anche se questi verrà consegnato per essere crocifisso: la sofferenza a cui è destinato non compromette la fedeltà del Padre, e l’annuncio che viene dalla vita e dalla morte di Gesù rimane, appunto, la buona notizia, un ‘vangelo’ di salvezza e speranza. Non solo. Nel racconto di Marco (come in quello di Luca), la voce che proclama il “figlio” al battesimo sembra essere udita da Gesù solo: a lui viene detto “tu sei mio Figlio” (in Matteo la voce si rivolge ad altri: “Questi è il mio Figlio”‘); ora la voce viene udita anche dai discepoli, rappresentati dai tre saliti con Gesù sul monte. Questi non possono più ignorare le parole a loro rivolte: “Ascoltatelo”.
In questo modo è oramai giunta la risposta alla domanda che i lettori di Marco – insieme ai discepoli di Gesù – avevano formulato dopo aver assistito al miracolo della tempesta sedata. In quella occasione, i discepoli “furono presi da gran timore e si dicevano l’un l’altro: Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli ubbidiscono?” (Mc 4,1). Ora non possono più far finta di non aver udito l’affermazione della sua identità. Anzi, è il Padre stesso che la rivela a chi assiste sul monte alla trasformazione di Gesù. Sembra, dal nostro brano, che solo il Padre possa rivelare l’identità profonda di Gesù. Questa teologia è molto presente nei vangeli; ci fa venire in mente quanto è scritto nel Primo Vangelo, quando Gesù dice: “nessuno conosce il Figlio se non il Padre” (Mt 11,27). Infatti, non è facile riconoscere Gesù come Figlio di Dio. Certo, si può attribuirgli questo titolo nel significato che aveva nell’Antico Testamento, dove era un nome usato per gli angeli, o anche per il popolo di Israele o per il re che lo rappresentava. Ma, in quei casi, quando ad esempio il Re-Messia veniva detto “figlio di Dio”, ciò non implicava necessariamente che egli fosse “più che umano”. Invece, non è la stessa cosa per Pietro quando confesserà Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio vivente (Mt 16,16).
In quella occasione Gesù gli dirà: “Né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16,17). Ecco che allora capiamo quanto scrive il Catechismo universale su chi crede in Gesù: “La fede è un dono di Dio, una virtù soprannaturale da Lui infusa” (153). Commenta molto bene questa idea San Gregorio Nazianzeno: “L’Antico Testamento proclamava chiaramente il Padre, più oscuramente il Figlio. Il Nuovo ha manifestato il Figlio, ha fatto intravvedere la divinità dello Spirito. Ora lo Spirito ha diritto di cittadinanza in mezzo a noi e ci accorda una visione più chiara di se stesso. Infatti non era prudente, quando non si professava ancora la divinità del Padre, proclamare apertamente il Figlio e, quando non era ancora ammessa la divinità del Figlio, aggiungere lo Spirito santo come un fardello supplementare, per usare un’espressione un po’ ardita. Solo attraverso un cammino di avanzamento e di progresso di gloria in gloria, la luce della Trinità sfolgorerà in più brillante trasparenza” (cfr. CCC 684).
Di gloria in gloria: con quest’espressione si spiega anche quanto scriveva Pietro nella sua Seconda lettera: “Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce”. Il mistero della trasfigurazione è il mistero della gloria di Dio che si rivela, del suo regno che viene con potenza, ma nel suo Cristo crocifisso e risorto.