Di che altro parlare

abatjour

Mi pare che di cognome si chiamasse Palazzeschi. Era un gesuita. P. Palazzeschi sj ci predicò un corso di esercizi spirituali, al Seminario romano, a ridosso degli anni ’60. Avevamo vent’anni, che bello! Gli esercizi spirituali i predicati da p. Palazzeschi sj furono coinvolgenti. Lo erano sempre, coinvolgenti, quei sei giorni di silenzio assoluto, carico di attesa, di preghiera lunga. Ne uscivi gasato. E la tensione si faceva estrema. Al punto che, quando qualcuno rompeva quel silenzio con una battuta di spirito, la risata gorgogliava cristallina e inarrestabile. Come quando Benito Cocchi, oggi arcivescovo di Modena, commentò con voce udibile tre banchi davanti’ che cosa commentò? Quell’anno il predicatore aveva un naso simile a quello di Carlo Delle Piane. Ma di norma le sue prediche ci offrivano spunti efficaci. Ogni tanto ci ammanniva colossali minchionerie preconciliari: come quando ci garantì che tutto nel nostro futuro ministero di parroci sarebbe andato per il meglio se ad ogni pagina dei vari registri parrocchiali avessimo aggiunto, in calce, grafia minima ma netta: ‘Cuore di Gesù, in te confido’.Peggio andava quando ci raccomandava il recupero delle penitenze corporali. Un fissa. ‘L’avete mai usato il cilicio?’. Silenzio. ‘E la disciplina sulle spalle nude, ne avete mai assaggiato il potere liberatorio?’. Colpetti di tosse imbarazzati. Il Delle Piane insisteva soprattutto sulle catenelle. ‘Ah! Le catenelle! Sapeste quanta autentica interiorità concilino le catenelle!’. Continuava: ‘Le usate voi le catenelle?’. Silenzio. ‘Le avete confinate in soffitta, le catenelle?’. Silenzio vagamente minaccioso. ‘In soffitta… Perché l’avete fatto? Perché?’. A questo punto interveniva lui, Cocchi, liliale: ‘Perché le hanno sostituite con i pulsanti’. Effettivamente erano quegli gli anni in cui, nei Wc, la tecnica a pressione andava sostituendo la tecnica a strappo. In diversi uscirono dai tre banchi davanti a quello di Benito, vittime di improvvisi e imprevisti mal di pancia. Anche p. Palazzeschi una mattina se ne uscì con una provocazione apparentemente simile. Veniva a San Giovanni col 75, la mattina presto, e sull’auto incontrava sempre gente preoccupata, e volti scuri, perennemente ingrugnati. E quella mattina dal cuore gli salì la domanda che girò subito a noi: ‘Ma perché la gente, in autobus, non parla di Cristo risorto?’. Già. Di che altro parlare? A 50 anni di distanza, quella domanda mi suona dentro, nitida. ‘Il primo impegno di oggi è quello di costruire una società nella quale tutti parlino’: se lo dice Habermas’ ‘Che sia povero o ricco, conta meno: basta che parli!’. Una frase di don Milani che, alla metà degli anni ’70, venne assegnata come primo tema per gli esami di maturità in tutte le scuole superiori di ogni ordine. Parlare. Certo, se sullo sfondo di tutti i discorsi ci fosse Lui, la silhouette discreta e potente del Risorto che ovunque offre pace e senso. Sullo sfondo. Solo sullo sfondo. Basterebbe per buttare al macero tonnellate di ciacole.

AUTORE: a cura di don Angelo M. Fanucci