Dap. La Regione dove vuol andare?

Il Documento di programmazione economica passa dalla Giunta regionale al voto del Consiglio

Lo schema di Documento annuale di programmazione (Dap) della Regione Umbria 2005 è stato varato dalla Giunta regionale in dicembre ed attende l’approvazione dal Consiglio regionale, che avverrà presumibilmente agli inizi del 2005. Messo a punto con scrupolo e grande professionalità dal Servizio programmazione strategica generale e controllo strategico della Regione dell’Umbria, il Dap mostra un notevole impegno dell’Amministrazione, con impiego tempestivo dei fondi disponibili, e accesso conseguente alla cosiddetta ‘riserva di premialità’, con incremento della dotazione finanziaria complessiva per gli anni a venire. Documenta lo sforzo sostenuto per una presenza su una molteplicità di fronti, sia sul versante economico che su quello sociale, ampiamente inteso, pur in presenza delle difficoltà ed incertezze del contesto in cui le Regioni devono programmare la propria attività, attribuibili anche all’andamento caotico, confuso del processo attuativo del federalismo in Italia. Nel Dap 2005 l’attenzione si concentra sullo Stato, e sulle criticità del Patto per lo sviluppo dell’Umbria, considerato ‘scelta politica di fondo, caratterizzante’ della VII Legislatura regionale 2000-2005. Per ognuna delle azioni strategiche previste nel Patto (La Voce, 5/12/2003) sono ricordate le linee di strategia formulate nel corrispondente Tavolo tematico, e le priorità di fine legislatura. Sotto questo profilo il Dap diviene l’occasione per fare il punto sullo stato di attuazione delle linee fondamentali di impegno assunto dalla Regione e dagli altri Attori del processo di concertazione, e risultano così rafforzate le sue potenzialità di strumento democratico partecipativo e di controllo. Ed è sull’attuazione di queste potenzialità che mi soffermerò in quanto segue. Osservo subito che, come ho già avuto occasione di rilevare (La Voce, 24/9/04), e nonostante l’istituzione dei ‘Tavoli territoriali’, corrispondenti alle cinque aree territoriali di programmazione in cui è stata suddivisa la regione, si avverte la pressoché totale mancanza di indicazioni su scelte di sviluppo distinte per territori. Passo a considerare la prima Azione strategica: ‘Potenziamento dei fattori di sviluppo economico e di competitività’ (nel cui ambito ricade un ventaglio molto ampio di linee di intervento, riguardanti infrastrutture e trasporti, sviluppo e qualità del sistema delle imprese, energia, sistema del credito). Si tratta di una azione estremamente articolata, tesa ad influire su una molteplicità di aspetti della vita produttiva, per orientarla, sostenerla, condizionarla. InterrogativiDinanzi ad un’azione potenzialmente così invasiva, si pongono numerosi interrogativi, tra cui: ‘ si dispone delle conoscenze necessarie per dare una base di razionalità alla azione politica? ‘ qual è la portata effettiva di ciascuno dei molteplici impegni enunciati, rispetto alla consistenza reale del fenomeno, per non cadere nei collegati pericoli del velleitarismo e della sopravvalutazione? ‘ come si fronteggia l’esigenza di controlli di efficienza e di efficacia? Sul primo punto, ribadisco quanto da me più volte sottolineato, e cioè la natura del tutto insoddisfacente della nostra attuale conoscenza dei caratteri dell’economia della regione, sotto i più importanti profili distintivi. Quanto all’indicazione degli importi finanziari relativi ai vari interventi, essa è compiuta per alcuni pur importanti blocchi di spesa, ma rimane frammentaria, parziale, non sistematica. Al contrario, occorrerebbe disporre della conoscenza delle somme impiegate, nel complesso, per tipi di intervento, e, ove opportuno, per settore merceologico, dimensione d’impresa, territorio, in termini assoluti e relativi. Occorrerebbe inoltre poter raffrontare gli importi destinati complessivamente alle diverse azioni strategiche, con specificazione del contributo attribuibile alla Regione, per valutare la loro importanza relativa, e il peso ad esse assegnato dall’amministrazione regionale. Andrebbero poi individuati i collegamenti che intercorrono tra le azioni strategiche (ad es., tra la prima suddetta e quella mirante alla ‘Tutela e valorizzazione della risorsa Umbria’, e le ‘Politiche attive del lavoro’) anche per valutare le aree di intervento comune a due o più Azioni strategiche, e la presenza di complementarietà. A questo proposito, ho già rilevato l’esigenza di realizzare forme di progettazione integrata, che caratterizzano le nuove politiche per lo sviluppo locale, e lo stesso Dap riconosce l’esigenza di favorire ‘una maggiore integrazione tra le misure per assicurare effetti di sistema’ (p.188). Si propone infine l’annoso problema della misura degli effetti degli interventi pubblici, per valutarne l’efficacia. Nel Dap troviamo qualche tentativo di misura (politiche del welfare, del lavoro), ma rimane il problema, basilare, di fare al più presto progressi diffusi in questa direzione. Concludendo, rilevo che, in mancanza delle informazioni suindicate, è difficile fornire una valutazione razionale della strategia dell’amministrazione. Quale ‘Bene comune’? Un ultimo interrogativo, molto arduo, del tutto desueto in questi tempi, e pur a mio avviso fondamentale: può avanzarsi qualche ipotesi, con tutte le cautele del caso, sulla configurazione di Bene comune (secondo le note indicazioni del celebre punto 26 della Gaudium et Spes), e quindi sul concetto d’uomo, implicita nel Dap, secondo l’interpretazione data sostanzialmente, di fatto, dalle Autorità regionali sulle preferenze collettive? Il Dap non consente una risposta a tale quesito, pur accennando a molte direzioni interessanti sotto questo profilo, per la mancanza, già osservata, di indicazioni adeguate sui caratteri quantitativi e qualitativi delle molteplici possibili componenti del Bene comune, e sulla loro importanza relativa. Prevale insomma una rappresentazione parziale, manca una chiara specificazione della direzione complessiva di marcia che di fatto si persegue.

AUTORE: Pierluigi Grasselli