Dalla parte di chi è in lotta con Dio

In una conferenza a Perugia, mons. Bruno Forte difende la non banalità della fede. E dell'ateismo pensoso

‘Ciò che è nemico della fede non è il conoscere e l’esercitare la ragione, ma l’ignoranza e la rinuncia a pensare’. Lo ha detto mons. Bruno Forte a Perugia lunedì scorso ad una platea di studenti e docenti universitari, nell’aula magna dell’Università per Stranieri. A invitarlo è stato l’Arcivescovo di Perugia in occasione della festa di sant’Ercolano. Mons. Forte, il tema della sua conferenza era ‘La fede e le ragioni della non credenza’. Sembra quasi che ci siano delle buone ragioni per non credere… ‘Certamente. Se non ci fossero, non si spiegherebbero due cose: da una parte la dignità del non credente, serio, pensoso, e dall’altra la dignità del credente, che è tale non per una sorta di rassicurazione psicologica ma per aver lottato con Dio e lasciato che Lui vinca. Dunque le ragioni del non credere, che potrebbero anche essere dette le ragioni del dubbio della fede, sono importanti’. Per esempio? ‘Ne cito una soltanto: il dolore nel mondo, specialmente lo scandalo del dolore innocente. È proprio davanti a queste ragioni che la fede scopre la sua altissima dignità. Amo ripetere che il credente è un ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere. Se non fosse così, la fede sarebbe, appunto, rassicurazione psicologica, ideologia a buon mercato. Invece la fede è lotta, agonia, passione, è un amore sempre nuovo, e quindi anche un incontro rinnovato ogni giorno con Dio. Al tempo stesso, però, per lo stesso motivo, il non credente serio, non negligente, scopre in se stesso delle ragioni che lo porterebbero a credere, una sorta di nostalgia del Totalmente Altro, di inquietudo cordis (‘il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te’, diceva sant’Agostino). Sono queste stesse ragioni che fanno capire al non credente quanto possa essere alto il rischio della fede; quanto possa essere dignitoso, umanamente, l’assentire a Dio consentendo a Lui e affidandogli il proprio cuore e la propria vita’. Oggi forse, più che ateismo, c’è confusione. Molti dicono di credere in Cristo, ma in realtà non lo conoscono.’C’è una credenza debole, il credere di credere di Gianni Vattimo, per esempio, e anche il credere di non credere di tanti atei superficiali. Io credo che il primo compito del credente serio, e del non credente rigoroso, sia di contestare la superficialità’. È una moda culturale piuttosto recente. ‘Sì, ma in realtà non fa che ripetere stereotipi ottocenteschi. Dimostra semplicemente come la fatica del pensiero costi a tutti, ed ecco perché si preferiscono vie facili per liquidare la fede, come a volte si sono seguite vie facili per liquidare la non credenza. Io ritengo che sia estremamente importante, invece, capire le ragioni dell’altro, sempre. E così purificare la qualità del proprio attegiamento interiore, della propria opzione fondamentale. Il credente non deve aver paura del pensare serio, profondo. Ciò che è nemico della fede non è il conoscere e l’esercitare la ragione ma è l’ignoranza e la rinuncia a pensare’. L’ecumenismo e il dialogo con le religioni pare che aumentino la confusione, anche se dovrebbero condurre all’approfondimento della propria fede. ‘L’incontro con le religioni non può che stimolare a riconoscere, anzitutto, la profondità delle proprie scelte fondamentali, la propria identità, le proprie radici. E al tempo stesso a rendere queste radici rispettose, accoglienti dell’altro, non in vista di una confusione all’insegna della faciloneria, ma all’insegna di quella tensione fondamentale, di quel movimento di trascendenza, che è nel profondo dell’essere umano e che è alla base di tutte le religioni, a cui corrisponde un avvento del mistero divino che si configura nella rivelazione storica’. C’è uno specifico cristiano? ‘Il cristianesimo ha questo di unico, di paradossale, e cioè che l’incontro di questo duplice movimento è il Verbo di Dio fatto uomo, è l’Onnipotente nella debolezza. È Dio che entra nel nostro dolore e nella nostra morte, e proprio così la redime dal di dentro. Un Dio per questi aspetti tragico, ma per le stesse ragioni un Dio che è amore. Questo è, e resta, il grande centro e cuore del Vangelo. Dio è amore, perciò è anche agonia, lotta, passione. Perciò credere non è un esercizio comodo e rassicurante, ma è quello che, comunque vissuto fino in fondo, rende degna la vita, bella, e motiva l’impegno e il dono di sé all’altro’.

AUTORE: Maria Rita Valli