I risultati hanno messo in evidenza una serie di criticità e di oscurità del sistema elettorale con il quale abbiamo votato. Se è stato subito chiaro chi avesse vinto ottenendo però una maggioranza parlamentare esagerata rispetto alle percentuali di voto – è stato più difficile e incerto scoprire i nomi degli eletti nelle varie circoscrizioni. Segno di un sistema poco trasparente.
Tornano in primo piano anche le perplessità sull’utilità di avere due Camere delle quali l’una è la fotocopia dell’altro. Alle origini del sistema parlamentare, nelle monarchie liberali del secolo XIX, le Camere erano due perché una era di nomina regia e l’altra elettiva, e questa era la sola che con il voto di fiducia (o di sfiducia) avesse il potere di far nascere e cadere i governi.
Nelle democrazie moderne la seconda camera (detta anche camera alta, ma è quella che conta di meno) spesso si distingue come espressione dei territori mentre l’altra – la sola eletta con voto popolare diretto – rispecchia la varietà delle tendenze politiche presenti nel Paese ed ha il monopolio della funzione di indirizzo politico nei confronti del governo.
La riforma costituzionale proposta da Renzi voleva appunto ridisegnare il Senato secondo il modello francese e tedesco; fu bocciata nel referendum con l’argomento (errato e pretestuoso) che togliere l’elezione diretta del Senato sarebbe stata una diminuzione della sovranità popolare. Invece è proprio il bicameralismo perfetto e paritario che abbiamo ora, che contribuisce a rendere pesante e confuso ogni passaggio parlamentare.
Se si vuol fare una riforma costituzionale, bisognerebbe pensare a questo; e anche a ridimensionare l’autonomia delle regioni, malamente ampliata nel 2001 con norme bizantine che ingorgano la Corte costituzionale con cause per conflitto di competenze fra Stato e Regioni.
Per vero, la nuova maggioranza politica dichiara di voler fare una riforma costituzionale ancora più impegnativa, quella verso un sistema presidenziale, dove l’elezione diretta del Capo dello Stato comporti anche la scelta di un indirizzo politico determinato. Però la storia del nostro Paese dimostra piuttosto l’utilità di avere un Capo dello Stato arbitro imparziale con funzioni di garanzia. Non ci rinuncerei tanto facilmente.