Da Aldo Moro lezioni di politica per i giovani

Per la figura di Moro l’interesse è soprattutto concentrato sugli ultimi 55 giorni della sua vita, quando fu rapito, tenuto prigioniero, poi ucciso dalle Brigate rosse il 9 maggio 1978. Le polemiche che ne seguirono, i troppi problemi oscuri e irrisolti nonostante cinque processi e due Commissioni parlamentari d’inchiesta, hanno fatto scrivere allo storico Pietro Scoppola che il caso Moro è “come un macigno nella storia della Repubblica”. Ma Moro è stato anche un insigne statista, un politico con una propria visione della società, un personaggio che, oltre che operare in politica, ha scritto e parlato molto. Gran parte di questi scritti evidenziano l’eccezionale personalità di Moro, la profondità delle sue riflessioni e conservano ancora una vivissima attualità. Sarebbe molto importante e utile che i politici attuali, e soprattutto i giovani, li riprendessero in mano e li leggessero. In questi ultimi tempi ho rivisitato il volume pubblicato dall’editrice Studium nel 1982 dal titolo Al di là della politica, che raccoglie scritti di Moro soprattutto del periodo 1945-1948 quando egli, all’incirca trentenne, essendo nato nel 1916, fu presidente del Movimento laureati di Azione cattolica contemporaneamente alla direzione della rivista Studium: cariche che lasciò quando nel giugno 1946 fu eletto alla Costituente, ma continuò a scrivere sulla rivista trasfondendovi tutta la riflessione che gli poteva derivare da quell’esperienza irripetibile della Costituente. In questi scritti risalta la sua matura formazione culturale, politica e religiosa, cresciuta negli anni della Fuci (Moro fu presidente nazionale della Fuci tra 1939 e 1942 con a fianco Montini quale assistente), formazione che risente degli stimoli culturali di Maritain. Moro tratta argomenti di natura etica, politica, religiosa, che stanno alla base della società e della politica. Ha una visione alta della politica secondo l’ottica del cristiano: “L’esercizio delle attività politiche è fecondo, a patto che sia a servizio della causa dell’uomo”. Sottolinea molto l’aspetto dei limiti della politica rispetto alla grandezza dell’uomo: “Bisogna che la politica si fermi in tempo; bisogna che essa, riconoscendo volenterosamente i suoi limiti, lasci all’uomo il possesso esclusivo di questo suo mondo migliore… Ma se la politica vuol essere tutta la vita, l’uomo è finito e la vita perde la sua chiarezza e ricchezza”. Quasi in ogni pagina dei suoi scritti, Moro insiste sull’uomo, sulla sua dignità, sul “valore incommensurabile della persona”: “L’uomo è dignità e moralità; e reca in sé la molla stupenda della libertà, l’adesione alla verità, il senso della giustizia piena per tutti”. Rileva per i cristiani che “non è l’ora delle polemiche e delle vanitose rivendicazioni”, ma quella dell’“inderogabile dovere di presenza attiva”. “Dignità della persona, verità, libertà, democrazia, intelligenza” sono termini e concetti ricorrenti in questo nuovo e immediato linguaggio politico usato da Moro. Molto spesso torna sulla “verità”, verità come supremo valore, verità da ridonare alle cose, agli avvenimenti, alle istituzioni, agli ideali, anche nel senso che ad ogni cosa va assegnato il suo posto. Verità essenziale anche per la democrazia: Moro scrive che “una democrazia senza verità è fondata sulla sabbia” e che la forma democratica di convivenza è “la più alta espressione di verità nella vita sociale”; quella democrazia che per lo statista pugliese è “essenzialmente rispetto della libertà di tutti, della dignità di tutti, del dolore di tutti”. Per quanto riguarda gli uomini di cultura, Moro osserva che “non c’è pace finché non siano stati riconosciuti i diritti e i doveri dell’intelligenza”, che “senza intelligenza non c’è storia”, che “la cultura sia a servizio della società”, che gli uomini di cultura siano “schierati con le forze del lavoro”. Queste sono solo alcune idee, che aiutano a capire la filosofia politica, la capacità di dialogo di Moro: idee manifestate con continuità sempre. Basti vedere quel che scrisse nell’aprile 1977 sul quotidiano Il Giorno, quando il Pci premeva per il compromesso storico non condiviso da Moro, il quale invece puntava al sistema dell’alternanza nell’ambito di un processo di democrazia compiuta: “La diversità che c’è tra noi non ci impedisce di sentirci partecipi di una grande conquista umana. Non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo e speriamo lo stesso identico destino; è invece straordinariamente importante che, ferma la fede di ciascuno nel proprio originale contributo per la salvezza dell’uomo e del mondo, tutti abbiano il proprio libero respiro, tutti il proprio spazio intangibile nel quale vivere la propria esperienza di rinnovamento e di verità, tutti collegati l’uno all’altro nella comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto e di dialogo”.

AUTORE: Giancarlo Pellegrini