Brunello Cucinelli, nato a Castel Rigone nel 1953, una laurea honoris causa in Filosofia ed etica delle relazioni conferitagli dall’Università di Perugia nel 2010, ha fondato la sua azienda nel 1978 e lo scorso aprile l’ha portata a piazza Affari, dove ad oggi è l’unica matricola dell’anno 2012.
L’azienda ha iniziato con il mercato italiano e quello tedesco, ma ha avuto una forte sviluppo a partire dal 1985 con l’ingresso nel mercato Usa ed oggi le esportazioni costituiscono il 73% del fatturato totale, con un incremento di 5 punti sul 2011. Un’altra data importante per la Brunello Cucinelli è il 2001, quando la produzione è passata dalla maglieria, prevalentemente in cashmere, a collezioni total look.
Il gruppo occupa circa 800 addetti, oltre all’indotto, ha 70 negozi monomarca (diretti e in franchising) oltre ad una diffusione nelle migliori boutiques multi-brand e department-store in tutto il mondo. Nel 1° semestre 2012 Cucinelli ha raggiunto un fatturato di 135,2 milioni di euro, con un incremento del 16,1% sul 2011. Nello stesso periodo, l’incremento sul mercato del Nord America è stato del 23%, mentre quello sul mercato cinese (che pesa circa il 5% del fatturato totale) è stato ben del 52%. Pur essendo molto impegnato nella nuova campagna vendite, Cucinelli ha risposto ad alcune nostre domande.
Secondo una ricerca del Censis, “l’industria del bello”, produce il 5,4% del Pil italiano, pari a un valore aggiunto di 74,2 miliardi di euro. Uno studio di Frontier Economics uscito recentemente sostiene che i “prodotti d’alta gamma” rappresentavano nel 2010 il 3% del Pil europeo e il 70% dei beni di lusso del mondo, per un valore di mercato stimato di 440 miliardi di euro. Ritiene che questi dati possano confermare ulteriormente le strategie e gli obiettivi di sviluppo del brand Brunello Cucinelli?
“Il nostro Paese ha rappresentato per secoli la culla di culture e civiltà che hanno saputo fare del ‘bello’ un concetto sovrastrutturale, che, al di là della sfera figurativa, si riflette in quello globale dell’estetica. Può esser bella un’architettura, un dipinto, una melodia, un capo di vestiario, nello stesso modo in cui può esserlo un’anima. Ed è proprio attraverso l’amore per la filosofia e la conoscenza dei grandi uomini del passato che si rafforza in me la fiducia incrollabile nei confronti di un Paese che rappresenta da millenni il punto di riferimento nell’arte, nell’architettura, nella cultura, nella bellezza”.
Su Corriere Economia del 16 luglio si legge: “La crisi si batte puntando sul bello”. Oscar Farinetti all’inaugurazione di Eataly a Roma, ha detto: “La bellezza salverà l’Italia”. È d’accordo con queste affermazioni?
“C’è una frase di Dostoevskij che campeggia ormai da molti anni sulla home page del nostro sito internet. La nostra finestra sul mondo si apre così: “La bellezza salverà il mondo”. Una citazione che rappresenta da sempre il filo conduttore che anima ogni azione nel piccolo borgo di Solomeo. Sempre più spesso, nel corso dell’ultima campagna vendite, ci è capitato di raccogliere l’opinione dei clienti che più che parlare di ‘lusso’, parola spesso abusata, sentono l’esigenza di acquistare ‘cose belle e fatte bene’. Un ritorno al vero made in Italy è una conferma delle nostre strategie produttive che hanno sempre e solo fatto affidamento sulla formazione interna di saperi intellettuali e manuali, sul saper fare dei piccoli ma qualificati laboratori artigianali capaci di dare ‘sapore’ alle nostre idee, di creare valore. Ritengo che grande sia il valore del lavoro artigianale e sempre di più lo sarà in futuro. La sfida oggi è proprio quella di avvicinare i giovani a questi antichi mestieri”.
Quando iniziò la sua attività presentò una mini-collezione di maglieria donna in cashmere colorato, che le valse l’appellativo di “Benetton del cashmere”, qual è stata l’evoluzione del suo stile negli anni?
“Dalla presentazione della piccola collezione di maglieria in cashmere molte cose sono cambiate… La nostra azienda, conosciuta per i suoi prodotti in cashmere, è divenuta nel tempo uno dei brand più esclusivi nel settore del pret-à-porter informal luxury a livello mondiale. Ci pare che vi sia molta attenzione a livello mondiale a questo modo di vestirsi sportivo chic di lusso italiano ben fatto, che narra quel credo nella bellezza, letteratura e scienza che rappresentano la nostra cultura”.
Nel 1977 dichiarava: “Credo in un’impresa morale, cioè che rispetti tutte quelle regole di etica e morale che l’uomo ha stabilito nel corso dei secoli… Credo in una forma di capitalismo moderno, ma con forti radici antiche… Nella mia impresa ho sempre messo prima l’uomo al centro di qualsiasi processo produttivo”… A 25 anni di distanza, cosa scriverà nella prossima relazione di bilancio?
“A distanza di molti anni, l’azienda è cresciuta e si è trasformata, ma i valori della filosofia e la cultura umanistica d’impresa sono rimasti sempre gli stessi: un modello imprenditoriale che pone l’uomo al centro del processo produttivo ed utilizza il profitto non come fine ma come mezzo per rendere l’azienda sempre più forte e consentire alle persone che vi lavorano di esprimere talento e creatività. Etica e disciplina del lavoro divengono regole condivise sia all’interno che all’esterno, dando vita ad un’idea d’impresa produttiva in senso materiale e in senso relazionale, etico e spirituale”.