Per i missionari in Africa, la sfida della convivenza fra cristiani e musulmani è pane quotidiano. Per questo il mio vivo interesse a partecipare alla serata presso la sala comunale di Città di Castello sul tema “Il dialogo interreligioso fra cristiani e musulmani come dovere civico”. L’occasione era la celebrazione dell’ottava Giornata nazionale del dialogo cristiano-islamico, che cronologicamente cadeva il 27 ottobre. Non era la solita conferenza, ma un incontro e una condivisione fra due comunità: quella cristiana, soprattutto cattolica, e quella musulmana, prevalentemente magrebina. I cattolici avrebbero usufruito della presenza e contributo del vescovo Domenico Cancian, la seconda di Omar Camilletti del Centro culturale islamico situato presso la grande moschea dell’Acqua Acetosa in Roma. La Caritas diocesana, l’organizzazione ecclesiale più coinvolta nelle iniziative concrete di solidarietà fra le due comunità, con il suo direttore don Paolino Trani, ha moderato la serata. È bello vedere il Comune, la Chiesa, la comunità islamica incontrarsi per riflettere su come migliorare la convivenza e la collaborazione in una società civile sempre più pluralistica e diversificata. Con umiltà! Perché, di fronte al nuovo evento della crescente presenza dei magrebini di religione musulmana nell’Alta Valle Tevere, nessuno ha risposte prefabbricate. La sala era piena zeppa, con chiara maggioranza di magrebini, giustamente interessati a configurare sempre meglio la loro presenza e azione. Quindi anche una grande dimensione politica, sociale e giuridica, con problemi urgenti come il voto per chi ha una presenza più che quinquennale corroborata da una valido lavoro. La cittadinanza implica doveri da parte di chi arriva ma anche diritti perché l’integrazione possa diventare effettiva e appetibile. È per questo che il terzo sponsor della serata era il Comune di Città di Castello, rappresentato dall’assessore ai problemi sociali, che ha messo a disposizione dell’incontro la bellissima sala comunale. La convivenza pone sfide, sia a chi arriva sia a chi riceve. Ovviamente questi ultimi sono in posizione di forza, mentre chi arriva di debolezza. Sarebbe un peccato se i cittadini valtiberini pensassero che la sfida è solo per chi arriva. Un cambiamento vero a livello di conoscenza, di liberazione dai pregiudizi, di adeguata organizzazione sociale e giuridica si impone per tutti. La fine dell’esclusivismo religiosoRicordo quando al tempo di mons. Pagani negli anni ‘80 i primi magrebini arrivarono in zona. Ci fu grande attenzione e compassione! Prevaleva la logica del “poverini”; si sfiorava il paternalismo. Non mi piaceva proprio! Proposi al Vescovo di organizzare un incontro con chi avesse esperienza per gestire il fatto nuovo con rispetto, ma anche con competenza e fermezza per non passare, come di fatto è avvenuto, dal paternalismo al rifiuto. Le difficoltà furono sottovalutate; ci furono esperienze negative su come, per esempio, gestire le case e gli appartamenti della diocesi in uso ai magrebini. Quelle incertezze iniziali lasciarono la bocca amara in non pochi, che restano ancora diffidenti, per non dire ostili. Eppure, come ha affermato il vescovo Cancian nel suo intervento, il Concilio Vaticano II dette un chiaro mandato 40 anni fa al popolo cristiano di assumere l’iniziativa di configurare nuovi rapporti con le grandi religioni mondiali come islam, ebraismo, induismo, eccetera. Superando e correggendo l’ostilità che caratterizzarono il secondo millennio che si aprì nel secolo XII con le crociate. I sette martiri monaci trappisti uccisi in Algeria il 21 maggio 1996 dagli integralisti islamici, lungamente citati dal Vescovo, sono il simbolo di un’epoca nuova. L’Algeria ha vissuto un colonialismo molto violento, molto più che altrove, e non di rado capitanato da integralisti cattolici. Allora i musulmani furono le vittime. Con i trappisti anche i cristiani sono diventati vittime, come Gesù sulla croce. Dopo 13 anni possiamo affermare che attraverso quel martirio la piccola comunità cristiana algerina ha acquistato una credibilità nuova. Il monastero di Tibihirine è ora luogo sacro, meta di pellegrinaggio non solo per i cristiani ma anche per i musulmani, quella grande maggioranza che non si riconosce nel fondamentalismo. Pellegrinaggi organizzati assieme, cosa mai prima avvenuta. Quella morte violenta subita, non inflitta, ha aperto una nuova èra caratterizzata dal pluralismo, che vede cristiani e musulmani più vicini e complementari; più disposti alla convivenza superando il pericolo dell’aut-aut. È un fatto nuovo, fragile come tutti gli inizi, ma che si sta affermando con decisione. Uno stile nuovo a cui anche in Italia e in Europa ci si deve educare. I Vescovi e le nazioni confinanti come Mali, Bourkina Faso, Senegal, al recente Sinodo sull’Africa hanno sottolineato il crescente clima di collaborazione e solidarietà nelle rispettive nazioni. Francesco Pierli