In relazione all’articolo apparso sul Giornale dell’Umbria in data martedì 20 ottobre 2012, a firma di un parroco di questa Diocesi, appare necessario ribadire la lettera e la mens delle norme ecclesiastiche in materia di Comunione eucaristica alle persone che vivono in situazione matrimoniale irregolare, al fine di fornire ai fedeli e ai lettori informazioni utili a completare e rettificare quanto ivi affermato. Ciò soprattutto per fugare l’opinione diffusa – fatta propria anche dall’autore – che la disciplina ecclesiastica risponda al fondo ad intenti punitivi e discriminatori e non sia invece dettata da quel rispetto della verità che è necessario ad ogni autentico amore.
Punto di riferimento è un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicato nel 1994: Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica circa la ricezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati. In esso, rifacendosi alla normativa canonica e alla teologia cattolica sul matrimonio, si precisa che la non-ammissione alla Comunione eucaristica: “Non ha affatto un carattere punitivo o comunque discriminatorio[…], ma esprime piuttosto una situazione oggettiva che rende di per sé impossibile l’accesso alla Comunione eucaristica”. Il documento esplicita l’affermazione citando l’enciclica di Giovanni Paolo II Familiaris Consortio: “Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale; se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio” (n. 84).
La Congregazione per la Dottrina della Fede fa rilevare inoltre che il giudizio della coscienza individuale non può essere criterio sufficiente, perché il matrimonio – come la convivenza – sono realtà pubbliche: hanno carattere oggettivo. Ogni situazione irregolare, pertanto, va a costituire una condizione stabile e permanente di peccato e di contrasto con la norma della Chiesa, che rende contradditorio ricevere il Sacramento che manifesta e realizza la comunione con Dio e con i fratelli, così come rende impossibile ricevere l’assoluzione sacramentale, in quanto manca un vero pentimento, il quale comprende sempre il proposito di recedere dal comportamento errato.
In tutti i pronunciamenti della Chiesa traspare la sofferenza dei pastori per tali situazioni e la profonda empatia con coloro che si trovano a viverle, per motivi sui quali non si emette un giudizio; la Chiesa, infatti, sa che solo a Dio appartengono la conoscenza dei cuori e il giudizio delle coscienze. Del resto, a livello pastorale, accanto all’esortazione a vivere la comunione con Cristo e con la Chiesa nelle tanta modalità possibili, si danno numerose distinzioni, che tengono nel debito conto alcune situazioni particolari.
Pertanto, in relazione all’articolo suddetto, pur tenendo conto delle profonde motivazioni, dell’anelito pastorale e del carattere episodico di quanto riportato, il comportamento e le affermazioni del parroco in oggetto vanno nettamente disapprovati, in quanto non rispondono alla norma canonica e nemmeno ai criteri di una sana pastorale, che è sempre chiamata a coniugare le esigenze della verità e quelle della carità. D’altra parte, come insegna l’esperienza di tante comunità parrocchiali, le persone che vivono in situazioni matrimoniali irregolari sono comunemente accolte, rispettate e amate dai pastori e dagli altri fedeli; si stanno anche moltiplicando le iniziative loro dedicate, per accompagnarne il percorso di fede, come è emerso anche nel corso dell’ultima assemblea del Sinodo dei Vescovi.
La storia insegna che l’opera di alcuni illuminati “obiettori di coscienza” (che hanno però accettato di pagare il prezzo delle loro scelte) ha aperto la strada a importanti riforme della prassi ecclesiale; insegna anche, però, che la scelta della disobbedienza ha spesso condotto a mali assai peggiori dei presunti errori ai quali si intendeva rimediare.
L’arcivescovo esorta pertanto il clero e i fedeli della diocesi ad attenersi alla norma canonica attuale, mentre apprezza ogni sforzo di riflessione sul piano teologico, canonico e pastorale volto a indicare soluzioni migliori di quelle attuali, nella consapevolezza della perfettibilità di tutto ciò che è umano, anche nella Chiesa.
Per approfondire:
Congregazione per la Dottrina della fede, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica circa la ricezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, 1994.
Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia, Direttorio di pastorale familiare.
Commissione episcopale per la dottrina della fede, la catechesi e la cultura e Commissione episcopale per la famiglia, La pastorale dei divorziati risposati e di chi vive in situazioni matrimoniali irregolari o difficili, 1979.
Diocesi di Roma, Sussidio per la pastorale dei coniugi separati o divorziati, 2001.