La Quaresima, tempo carico di storia, sembra purtroppo svuotarsi sempre più di senso in un mondo distratto, ove persino il carnevale è più incisivo e presente. Potremmo dire che è un tempo debole rispetto ai tempi forti degli interessi personali di gruppo o di nazione, senza più quindi rilevanza né visibilità. Eppure, l’uomo e il mondo di questo inizio di millennio, hanno estremo bisogno del “non senso” del tempo quaresimale. Le Chiese cristiane, da parte loro, sono chiamate a scongiurare il rischio di svilire la “forza” di questi quaranta giorni di penitenza, di digiuno, di elemosina e di preghiera. Nei secoli passati, i cristiani d’Oriente giungevano a privarsi persino della comunione per non interrompere il digiuno. E nell’Occidente europeo la quaresima era così piena di senso da far nascere la famosa “tregua di Dio”: papi e principi stabilivano (accadeva alla fine del primo Millennio) che dovevano essere interdette tutte le azioni di guerra dal mercoledì delle Ceneri sino alla Pasqua.
Mai la Quaresima doveva essere di guerra; il tempo degli uomini cercava di ritrovare almeno in quei giorni il battito di Dio e adeguarsi. Giovanni Paolo II torna a proporre con particolare vigore a tutti i cattolici la forza spirituale che si sviluppa da questo tempo. Sembra farsi eco dell’invito appassionato e forte di Dio presente già in Gioele: “Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti” (2, 12). Il profeta, preoccupato della insensibilità del popolo d’Israele, commentava l’invito di Dio: “Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e benigno, tardo all’ira e ricco di benevolenza e si impietosisce riguardo alla sua sventura” (Gl 2, 13). La Quaresima è il tempo opportuno per ritornare a Dio e ricomprendere se stessi e il senso stesso della vita del mondo.
La liturgia ci viene incontro con l’antico segno delle ceneri che, emarginato dai nostri razionalismi e sensi di modernità, eppure così vero, ritorna di grande attualità. Quella cenere, accompagnata dalle espressioni bibliche: “Convertiti e credi al Vangelo”, oppure: “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”, vuol dire certamente penitenza e domanda di perdono, ma soprattutto significa una cosa molto semplice: siamo tutti polvere, siamo tutti deboli e fragili. Quest’uomo che s’innalza e che si sente potente (e ognuno di noi ha i suoi modi per innalzarsi e per sentirsi potente), domani non è più nulla. Quest’uomo (o anche questa nazione) che s’innalza e si sente forte e sfodera da sola le armi, domani rischia di scoprirsi tragicamente debole. Siamo tutti polvere e la cenere sul capo ce lo ricorda.
Non è per aumentare la paura e tantomeno per spingerci all’eliminazione reciproca. Ha fatto bene perciò il Papa a ricordare quella verità semplice che nasce dal comandamento dell’amore: “mai potremo essere felici gli uni contro gli altri”. Nella vita cristiana la debolezza, la fragilità sono dimensioni decisive della vita, anche se continuamente tentiamo di sfuggirle. Esse con la forza, ci spingono a cercare quel che unisce e fare in ogni modo per trovare le vie dell’incontro e della collaborazione. C’è un senso liberante nel non dover sempre far finta di essere forti e di essere senza macchia e senza contraddizioni. La vera forza sta nel considerare la propria debolezza e nel tener vivo il senso di umiltà e di mitezza: “I miti-afferma Gesù-erediteranno la terra” (Mt 5, 5).
Il segno delle ceneri resta perciò quanto mai attuale. E’ un segno austero, e tale è anche il tempo quaresimale. Esso ci è dato per aiutarci a vivere meglio e per farci comprendere quant’è grande l’amore di Dio che ha scelto di legarsi a gente debole e fragile come noi. E a noi, deboli e fragili, ha affidato il grande dono della pace perché la viviamo, la custodiamo, la difendiamo, la costruiamo. In troppe parti del mondo la pace viene quotidianamente sperperata. Si sta sperperando in Medio Oriente, soprattutto in Terra Santa, ove l’odio e l’ingiustizia sembrano spingere verso una terribile spirale di morte. Viene sperperata nelle sofferenze del popolo irakeno schiacciato dall’embargo e dal regime; una nuova guerra lo farebbe sprofondare nella disperazione più nera, creando per di più uno scontro senza fine tra mondi che possono e debbono convivere. Giovanni Paolo II, di fronte all’imminente pericolo di guerra, propone ai cattolici di iniziare questa quaresima con il digiuno e la preghiera “per la causa della pace, specialmente nel Medio Oriente”.
Le parole del profeta Gioele risuonano forti ancora oggi: “Suonate la tromba in Sion, proclamate un digiuno, convocate un’adunanza solenne. Radunate il popolo indite un’assemblea, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti… Tra il vestibolo e l’altare piangano i sacerdoti… Il Signore si mostri geloso per la sua terra e si muova a compassione del suo popolo” (Gl 2, 15-18). E’ come se il Signore è geloso della sua terra e compassionevole per il suo popolo! E’ proprio la sua gelosia e la sua compassione che ci costituiscono, come scrive Paolo ai Corinzi, “ambasciatori per Cristo”. Nel suo nome infatti dobbiamo gridare al mondo: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2Cr 5, 20).
È nascosta qui la nostra forza: il Signore ha preso la polvere che noi siamo per farci “ambasciatori” di pace e di riconciliazione. Con un’immagine analoga il Papa aggiunge: “Noi cristiani, in particolare, siamo chiamati ad essere sentinelle di pace, nei luoghi in cui viviamo e lavoriamo. Ci è chiesto di vigilare, affinché le coscienze non cedano alla tentazione dell’egoismo, della menzogna e della violenza” (23/2/200). Il digiuno e la preghiera ci rendono sentinelle attente e vigili perché non vinca il sonno della rassegnazione che fa ritenere la guerra inevitabile; perché si allontani il sonno della acquiescenza al male che continua ad opprimere il mondo, perché sia sconfitto in radice il sonno del realismo pigro che fa ripiegare su se stessi e sui propri interessi.
Nel Vangelo di questo giorno Gesù stesso esorta i discepoli a digiunare e a pregare per spogliarci di ogni superbia e arroganza e per disporci con la preghiera a ricevere i doni di Dio. Le nostre forze, da sole non bastano ad allontanare il male, abbiamo bisogno di invocare l’aiuto del Signore, l’unico capace di dare agli uomini quella pace che essi non sanno darsi. Gesù ripete anche a noi le parole rivolte ai discepoli incapaci di scacciare lo spirito immondo da un giovane: “Questa razza di demoni-e la guerra è uno di questi!-non si caccia se non con la preghiera e il digiuno” (Mt 17, 21).
Il tempo di quaresima è un tempo opportuno per scendere nel nostro cuore, per “entrare nella camera” o “nel segreto del cuore”, come ci suggerisce il vangelo: dobbiamo ritrovare nell’ascolto della Parola di Dio, nella preghiera e nella carità, quella profondità spirituale che ci fa comprendere e gustare il valore della pace.Per noi cristiani, infatti, la pace ancor prima di essere una questione politica, è la conversione del cuore che ci avvicina a Dio. Chi è raggiunto dall’amore di Dio diviene un uomo pacificato e per questo anche pacificatore.