C’erano i “mille” volti della Chiesa umbra. al Convegno ecclesiale di Santa Maria degli Angeli. Molti i giovani impegnati nelle attività di pastorale giovanile, ma anche tanti gli altri operatori laici delle otto diocesi umbre, accanto ai sacerdoti e religiosi. L’impressione è stata quella di un gran fermento, quasi come se il contenitore nato come complesso industriale e ora trasformato nel Lyrick Theatre fosse tornato a produrre e a “fabbricare”. Gli operai presenti, però, non lavoravano al tornio o alla pressa, ma al mosaico di una nuova pastorale per le Chiese dell’Umbria. “Ci siamo interrogati sul problema della nuova comunicazione della fede – spiega mons. Pietro Bottaccioli, vescovo di Gubbio e presidente del comitato organizzatore del Convegno ecclesiale di Assisi – e abbiamo voluto interpellare proprio i giovani perché sono loro che ci danno il senso del nuovo. I loro problemi, i loro disagi, le loro speranze, le loro aspettative ci proiettano già nel futuro. Il Papa li chiama ‘sentinelle del mattino’. Con loro si avanza verso il futuro della società e della Chiesa. Quindi è da loro che le Chiese umbre vogliono capire questa situazione nuova, per porgere il Vangelo, perché la Parola sia accolta e risponda a queste domande nuove dei giovani”. Nelle sale del “Cenacolo francescano” e del Lyrick, ma anche nei corridoi, nei gruppi di lavoro e nei luoghi dell’accoglienza serale si è parlato più volte della nuova pagina del rapporto tra Chiesa e giovani che è stata scritta con la Giornata mondiale della gioventù dello scorso anno a Roma. E non solo perché la Convention dei giovani animatori umbri, che si è svolta in parallelo con il Convegno ecclesiale, ha ripreso la definizione che il Papa ha dato dei giovani, chiamandoli ‘sentinelle del mattino’. Piuttosto perché le stesse giovani generazioni cominciano ad essere consapevoli che la Chiesa, i Vescovi e i sacerdoti cercano davvero di costruire un nuovo legame di amicizia e di vicinanza con loro. “I giovani chiedono alla Chiesa – dice don Paolo Giulietti, fra un intervento e l’altro sul palco del teatro assisano – la disponibilità a un’accoglienza seria e aperta, che metta in preventivo la possibilità di essere cambiata dal confronto con i giovani stessi. E’ una cosa semplice da una parte, perché ogni relazione deve necessariamente contemplare il cambiamento reciproco, ma al tempo stesso anche impegnativa perché ogni cambiamento è faticoso e magari anche un po’ doloroso”. Don Paolo forse, nelle giornate di Santa Maria degli Angeli (ma anche nei “palazzi” romani della Cei), ha faticato a restare fasciato nell’impeccabile clergyman scuro, abituato com’è a blue jeans e scarpe da ginnastica. Ma alla fine era comunque soddisfatto per la riuscita di questo importante appuntamento della Chiesa umbra. Come lo sono stati i giovani che hanno potuto dire la loro nei lavori di gruppo, riuniti nella mattinata di domenica. “Abbiamo fatto tardi – ha spiegato un animatore ancora intento a scrivere su un cartellone tutte le proposte del suo gruppo – perché non si riusciva a chiudere il discorso. Ognuno aveva tante cose da dire. Il nostro gruppo si interrogava su come comunicare la fede attraverso i nuovi linguaggi. Abbiamo parlato di musica, teatro, informatica e ogni altro strumento per comunicare il Vangelo. Tra le cose che abbiamo proposto – continua – c’è quella di osservatori diocesani sui nuovi linguaggi, che sappiano analizzare e utilizzare il linguaggio dei giovani, ‘traducendolo’ poi per i catechisti e gli animatori delle nostre Chiese. Poi aprire degli spazi per far esprimere i giovani, come sale prove per le band musicali o esposizioni per chi ama dipingere”. Le otto diocesi della regione da mesi cercano anche di imboccare strade concrete di aiuto ai giovani, come ad Assisi ci ha confermato Pasquale Caracciolo, responsabile regionale dell’Ufficio per la pastorale sociale, il lavoro, la giustizia e la pace. “Stiamo avviando anche in Umbria il progetto Policoro -ha detto Caracciolo – come segno di attenzione e di amicizia nei confronti dei giovani. I giovani vivono i loro problemi fra cui anche quello di come entrare nel mondo del lavoro, come orientarsi, capire i cambiamenti, il significato del lavoro come presenza cristiana e presenza di Dio, o in che modo valorizzare tutte le proprie capacità e creatività di giovani. Noi vogliamo aiutarli, vogliamo stare insieme e condividere, vogliamo far capire loro, accompagnarli e mediare questo auspicabile ingresso nel mondo del lavoro”. Mons.Betori: il “pensare” la fede non esclude “il cuore” Il Segretario generale della Cei è venuto a proporre una riflessione “tosta” (per dirla con il linguaggio dei giovani), ed ha richiamato con forza l’attenzione dei presenti alla “questione culturale” della Chiesa. In particolare nelle risposte agli interventi il discorso si è fatto più esplicito ed appassionato toccando un punto che poteva apparire in contrasto con le “provocazioni” portate in aula la mattina dal sociologo Paolo Montesperelli che aveva sottolineato il fatto che nella Chiesa forse c’è poca affettuosità. Molti temono l’intellettualismo – abbiamo chiesto a mons.Betori – tanto da tenere le distanze dal Progetto culturale che lei, invece, ha indicato come centrale nell’impegno della Chiesa italiana. Come si conciliano queste due dimensioni, quella della esperienza umana, di fede calda ed “affettuosa” e quella del “pensare la fede”? “Quando la Chiesa italiana parla di Progetto culturale non intende assolutamente riferirsi al razionalismo della fede. Il ‘pensare la fede’ fa riferimento ad una capacità di appropriarsi della fede in maniera più consapevole di sé. Noi non possiamo più dare per scontato che parlando, celebrando e vivendo la fede, capire quello che facciamo sia spontaneo per noi stessi e per gli altri”. Perché?”Intorno a noi domina un pensiero sull’uomo, la società, il mondo, il futuro, che è talmente lontano dal Vangelo, talmente pervasivo nei nostri confronti, che ci obbliga a rioccupare gli spazi propri del pensiero con i contenuti della fede. Con questo non intendo la razionalità, ma la mentalità diffusa che sta occupando anche la coscienza dei cristiani. Quindi per il credente non è un problema di ragione, è un problema di coscienza”. Ci sta dentro anche il cuore? “C’è dentro il cuore, l’affettuosità, le relazioni umane che chiedono i giovani, ma ci sono anche le relazioni nella forma più immediata, più semplice”. Ci vuole un po’ di fantasia per immaginare qualcosa di nuovo…”Perché no? Noi pensiamo al progetto culturale come un convertire la coscienza degli intellettuali ma non è questo. Il progetto culturale si preoccupa, invece, della coscienza della gente, di come pensa a se stessa e si percepisce. A volte non c’è bisogno del pensiero. Nel rapporto tra uomo e donna, ad esempio, non è il pensiero che domina. L’affetto si manifesta attraverso altre sensibilità che non quella dell’intelletto. In questa situazione culturale noi dobbiamo chiederci come riesprimere una coscienza cristiana”. Qual è il punto della sua relazione che ha un più diretto riferimento alla nostra, e alla sua, regione? “Il tema della centralità di Cristo che oggi viene riaffermato come un passaggio chiave della pastorale. Ha un significato particolare per noi umbri perché proprio il riferimento alla persona di Cristo è stato alla base dei percorsi di santità che sono cari alla nostra tradizione ed appartengono un po’ alla nostra identità, dai più noti come Benedetto e Francesco ai meno conosciuti. Di questo abbiamo una immagine nel Crocifisso di San Damiano dove intorno al Cristo si stringono gli angeli ma si stringe anche un popolo di discepoli di cui noi dobbiamo essere continuatori”.
Convegno ecclesiale regionale – Dall’incontro e dal confronto sono nate numerose proposte
AUTORE:
Daniele Morini - Maria Rita Valli