Oggi, 4 ottobre, a Perugia presso la Sala Galeazzo Alessi di via Mazzini Confcooperative Umbria organizza il Convegno nazionale dal titolo “Oltre il posto” che mette a tema l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate. Ne parliamo con Carlo di Somma, presidente di Confcooperative Umbria.
Presidente, cosa si intende quando si parla di “cooperative di tipo B”?
“Sono quel tipo di cooperative che al di là delle cose che fanno, quindi del comparto merceologico in cui agiscono e sono i comparti merceologici i più vari, puntano a mettere al centro la persona con svantaggio creando occasioni di lavoro per persone che non troverebbero collocazione lavorativa neanche nei percorsi previsti dalla Legge 68 che regola il collocamento obbligatorio per i disabili”.
Di che svantaggio si tratta? Fisico, psichico o altro?
“Sia fisico che psichico, medicalmente certificato. Rientrano nella previsione di legge anche i detenuti in trattamento o ammessi a pene alternative o ammessi al lavoro esterno al carcere o anche, ma solo per il primo anno, coloro che escono dal carcere. Stessa cosa per i soggetti che hanno avuto un percorso di dipendenza e che sono in un percorso riabilitativo, per esempio con i Sert o in una comunità, fino, al massimo, ai 12 mesi successivi all’uscita da questi tipi di progetti e di percorsi”.
Quando si parla di inserimento lavorativo per soggetti svantaggiati, si parla di una legge che mette anche a disposizione dei fondi?
“No, la 381 li definisce soltanto. Quello che viene messo a disposizione delle cooperative di tipo B che inseriscono queste persone sono sgravi contributivi, ossia l’azienda che assume il soggetto svantaggiato sostiene solo il costo della paga oraria e tutto il resto, contribuzione, Inps, Inail viene coperto dallo Stato”.
…per tutta la durata del rapporto di lavoro?
“Alcuni soggetti restano ‘svantaggiati’ per tutto l’arco della loro vita, perché il loro svantaggio non si elimina, altri sono ‘svantaggiati’ finché dura la loro situazione di svantaggio, quindi poi diventano ‘normodotati’ a tutti gli effetti e se la cooperativa li tiene ne paga anche i contributi, come qualsiasi dipendente”.
In Umbria, quante sono le cooperative della vostra rete, di Confcooperative, che assumono questi soggetti?
“Con le nostre cooperative lavorano dalle 700 alle 800 persone ‘svantaggiate’, circa il 30% di circa 2.000 persone che lavorano nel comparto della cooperazione di tipo B che, come dicevo, lavora in tutti i campi”.
Oggi il tema sarà dunque questo, dare una prospettiva di autonomia a soggetti che nel libero mercato del lavoro difficilmente possono trovare uno sbocco. E quindi non è welfare in senso stretto ma sicuramente migliora le condizioni di vita dei malati o comunque dei soggetti in difficoltà e delle loro famiglie.
“Al Convegno daremo anche un dato numerico preciso per quanto riguarda il benefit che ne viene alla società, che è stato calcolato e che è un numero preciso, è una ‘cifra’ di cosa costa in meno un soggetto svantaggiato correttamente inserito al lavoro e cosa genera invece in più rispetto a quello che siamo abituati a fare.
Io dico sempre che quando riusciamo a inserire correttamente un soggetto svantaggiato, penso a persone con un handicap fisico o psichico che vengono inseriti all’interno di una cooperativa sociale di tipo B, lo facciamo uscire dalla porta dell’assessore alle Politiche sociali per un sussidio, per un reddito soltanto garantito da un punto di vista assistenziale e lo facciamo entrare nella porta dell’assessorato per lo Sviluppo economico, perché quella persona diventa un produttore di reddito, qualcuno che genera reddito per se stesso e anche in alcuni casi per le proprie famiglie.
Quindi è logico che noi chiediamo al legislatore di avere un’attenzione per questa particolare forma di impresa, tanto è vero che anche all’interno dello stesso codice degli appalti sono previste gare riservate a cooperative o imprese che si impegnano però correttamente e coerentemente a inserire al lavoro almeno il 30% dei soggetti svantaggiati”.
Perché sottolinea “correttamente”, cosa succede?
“Perché non sempre assistiamo a inserimenti di lavoro corretto, non sempre vengono sfruttate tutte le potenzialità dei soggetti svantaggiati, e in alcuni casi si tende a tenere il soggetto svantaggiato sotto un determinato reddito o sotto un determinato numero di ore per non perdere la pensione o il diritto all’accompagnamento…”.
Questo è un timore della famiglia non dell’impresa. Ma, un soggetto svantaggiato all’interno di una realtà lavorativa, quando arriva porta scompiglio o porta un qualche valore aggiunto?
“Porta scompiglio ma poi porta anche a un ripensare a se stessi e al proprio modo di stare nel posto del lavoro. Al convegno alcune cooperative racconteranno la loro esperienza… (continua a leggere sull’edizione digitale de La Voce).
Maria Rita Valli