‘Una comune responsabilità per il futuro della città’ non è stato solo un convegno, ma un evento che ha superato di gran lunga le attese di tutti noi; è andato molto più in profondità di quanto ci si potesse attendere dai pur numerosissimi interventi che già avevano animato il dibattito sulla stampa locale. Non ho timore di paragonarlo a quanto avvenne a Terni il 14 giugno di 64 anni fa alla fine dei bombardamenti ‘ come è stato da non pochi rilevato ‘, ad una sorta di momento costituente, o meglio di avvio di uno ‘spirito’ costituente; c’è uno ‘spirito’ di questo incontro che va raccolto e che va tenuto in vita. Oggi comprendiamo meglio che quel che conta non è chi ha fatto l’invito, ma che tutti si siano raccolti assieme, ciascuno portando il suo contributo, ma certamente più per ascoltare che per parlare. La Chiesa lo ha fatto per spirito di servizio, per una sua propria vocazione. Ha voluto offrire uno spazio di libertà per discutere. Lo abbiamo fatto più facilmente di altri proprio per la nostra ‘paradossalità’: noi, per definizione, non possiamo esaurirci nella ‘guida’ della città. Altra è la nostra vocazione: nella città la Chiesa è lievito, è sale, è luce. E se c’è una ‘saliera’ non è perché sia essa cibo, ma per spargere il sale perché dia sapore a tutto. La Chiesa non può neppure lontanamente ambire a provvedere da sola a tutti i beni materiali, culturali e spirituali che allietano quel banchetto, e neppure a tutte le energie che servono per proteggerlo e mantenerlo aperto a tutti. Essa vi contribuisce con tutto quel che ha, sperando che sia gustato ed apprezzato da tutti, ma il lavoro ed i talenti di ciascuna persona, e di tutte le persone assieme, sono altrettanto indispensabili. La Chiesa, anche nei momenti più difficili, ha il dovere di tenere aperta la casa, caldo il pane, buono il vino, fresca l’acqua; ed ha il dovere di invitare tutti con passione, affetto, rispetto (cfr. 1Pt 3, 15), chiedendo a ciascuno di portare ciò che ha, ciò che sa, ciò che può. Per i cristiani il primo modo di amare la città è essere cristiani davvero; è essere comunità davvero, vivendo l’eucarestia domenicale in tutta la sua ricchezza. Questa è la base di tutti i nostri comportamenti etici, a cominciare dai più piccoli, dalle famiglie, gli anziani, sino alla città. La morale per noi cristiani si fonda sulla grazia, sull’amore per gli altri. Ma anche per chi non crede, questo deve portare un cambiamento profondo. Anche chi non crede deve fare i conti con il mistero, con l’amore, con il vivere per gli altri. Ricostruire la città, nel senso più profondo e ampio, significa anzitutto ricostruire gli uomini. Per continuare a coltivare i frutti del 14 giugno tutte le istituzioni della città, tutte le sue parti vive, tutti noi dobbiamo impegnarci a fondo. Da parte della Chiesa alcuni impegni sono già definiti, a cominciare dal socializzare a livello più ampio possibile i contenuti di questo nostro incontro. Occorre che questo ‘tempo per la città’ diventi una pratica costante di dialogo. Occorre un ‘tempo per la città’ che diventi anche ‘festa della città’, un tempo in cui la città appaia a se stessa; un tempo nel quale ciascuna istituzione della città provi a dare visibilità alle sue attese, alla sue speranze, alla sue preoccupazioni, ciascuna dal suo punto di vista, senza perdere il senso della distinzione. Il convergere sulla città ha qualificato in maniera unica questo evento. Stiamo ‘gestendo’ una città che ha voglia di rinascere, una città che si sviluppi, una nuova idea di città: come dice san Tommaso, che sia il ‘luogo dell’amicizia degli uomini’. Questo è il bene comune: l’amicizia tra gli uomini.
Con uno spirito ‘costituente’
Il vescovo mons. Vincenzo Paglia riassume il significato dell'incontro, a suo modo di un'impor- tanza epocale per la città di Terni
AUTORE:
' Vincenzo Paglia