Con o senza ali, parlano di Dio

Quando si parla di angeli si pensa spesso a mitiche credenze, buone solo per bambini o per superstiziosi; per molte persone non si tratta di un argomento serio, degno di una fede adulta. A smentire questo assunto, ritenendo invece che parlare di angeli sia una questione estremamente seria, è la rivista Credere oggi, che dedica all’argomento un intero numero monotematico (n. 178/2010). Tra le varie prospettive considerate, molto interessante è il saggio di Micaela Soranzo, autrice di una riflessione sul modo di rappresentare gli angeli nel corso dei secoli, dal titolo Rappresentare l’invisibile: iconografia degli angeli. È sicuramente un’analisi di grande impatto, la sua, perché permette di comprendere come l’evolversi della maniera di rappresentare gli angeli sia strettamente legata al modo in cui ciascuna epoca storica ha visto ed inteso questi esseri spirituali, via via evidenziando artisticamente una qualche loro prerogativa maggiormente sentita dai credenti in ogni periodo storico (ora l’essere messaggeri di Dio, ora il consolare ed il proteggere, ora il difendere la fede e così via). L’evolversi nel tempo della rappresentazione angelica è, in sintesi, sintomatica del modo in cui in ogni epoca si è creduto a queste figure spirituali. Di angeli parlano sia l’Antico che il Nuovo Testamento. Con una differenza: nel secondo essi non sono solo portatori di un messaggio, di un annuncio di Dio, ma sono anche presenze costanti nella vita di Gesù per glorificarlo, confortarlo, proteggerlo e servirlo. Ecco quindi che gli artisti incominciano man mano a tratteggiare simbolicamente anche questi compiti nelle rappresentazioni angeliche, e ciò è specialmente evidente nelle classiche raffigurazioni dei tre angeli per antonomasia. L’arcangelo Gabriele, annunciatore a Maria della nascita di Gesù, viene dipinto con un rametto di giglio in mano, emblema dell’annunciazione e della purezza della Madonna. L’arcangelo Michele è rappresentato come un guerriero fornito di spada per combattere il demonio, o con la bilancia per pesare le anime, essendo lui deputato a farlo nel giudizio universale nell’immaginario dell’uomo medioevale, timoroso dell’aldilà. Infine, l’arcangelo Raffaele, raffigurato, tra l’altro, vestito da pellegrino con bastone e bisaccia, in quanto protettore dei viandanti e degli adolescenti che si allontanano da casa per la prima volta. Da questa immagine di Raffaele deriva, inoltre, l’iconografia dell’angelo custode, cioè dell’esistenza – per ogni uomo – di un angelo che lo segue dalla nascita alla morte (generalmente raffigurato mentre conduce per mano un bambino o mentre gli insegna a pregare). Angeli sempre presenti nella storia della salvezza, messaggeri di Dio posti a protezione della Chiesa, ma mai uguali a se stessi nelle rappresentazioni iconografiche: all’inizio uomini senza ali, all’apparenza normali, per distinguerli da quelle mitiche figure pagane tanto disprezzate in seno alle comunità primitive cristiane dei primi secoli. Personaggi ritratti alti di statura, per simboleggiarne l’elevatezza di spirito. Poi, nel Medioevo, le figure angeliche si arricchiscono delle ali, per sottolineare il fatto che sono inviati da Dio. Con il trascorrere dei secoli si aggiungono nelle raffigurazioni altri simboli: il ramo di palma (segno di vittoria) o di ulivo (segno di pace), gli strumenti musicali (per cantare lode a Dio). Questa evoluzione dell’iconografia angelica si arricchisce anche della differenziazione per tipologia delle schiere degli eserciti celesti (nove cori), così come descritte nel trattato De coelesti hierarchia dello Pseudo-Dionigi l’Areopagita (V-VI secolo). E via via nel tempo troviamo angeli che sono fanciulle o bambini, guerrieri oppure notabili dalle vesti sontuose o liturgiche. La comparsa da ultimo di rappresentazioni sempre più fantasiose, del tutto estranee alla verità dei testi sacri, è sintomatica di come la nostra società attuale stia sostituendo questi esseri spirituali con figure irreali. L’autrice richiama tutti ad un’arte cristianamente ispirata. Come non darle ragione: alla rappresentazione della falsità, meglio preferire i colori della Verità.