Dal deserto di Giuda al monte Tabor in Galliea. Un percorso geografico che è anche un cammino interiore: dallo scendere agli “inferi” della nostra umanità, tentati dal Menzognero, alla contemplazione della gloria, destino ultimo di ogni credente. Gesù va da solo nel deserto e lì viene tentato; ma trova nell’abbandono al Padre, guidato dallo Spirito, la pace e la consolazione.
Letture di Domenica 28 febbraio 2021, seconda di Quaresima
Gesù ora sale “su un alto monte”, anche stavolta “in disparte”, ma non è da solo, porta con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, e il testo sottolinea “loro soli” (9,2). Un riferimento che richiama la condizione di intimità che Gesù ricerca continuamente dopo l’incontro con le folle, e ogni qualvolta la folla vuole portarlo in trionfo (Mc 1,35.45). In questa occasione l’esperienza di intimità è vissuta insieme a Pietro, Giacomo e Giovanni, anzi possiamo dire che è “costruita” per loro. Infatti la Trasfigurazione può essere considerata l’esperienza “mistica” che rafforza la fede degli apostoli, dopo che Gesù aveva annunciato loro che il cammino verso Gerusalemme non sarebbe stata una marcia gloriosa. I miracoli, il successo, gli applausi sarebbero ben presto scomparsi per far posto a incomprensioni, rifiuti, fino alla morte in croce (Mc 8,31).
Ad aggravare la situazione sarà la previsione che ciò che sarebbe accaduto a lui avrebbe coinvolto anche i suoi seguaci: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34). Una prospettiva che i discepoli faranno fatica a comprendere; una logica che i cristiani di ogni tempo cercheranno sempre di escludere.
Il racconto della Trasfigurazione è narrato dall’evangelista Marco dopo l’annuncio della Passione. Il cammino verso Gerusalemme attesterà, passo dopo passo, quanto Gesù aveva anticipato. Nonostante la visione di luce del Tabor, i discepoli non saranno in grado di salire insieme a lui sull’altro monte che attende Gesù: il Calvario. “Tutti lo abbandonarono e fuggirono” (Mc 14,50), sottolinea l’evangelista all’inizio della passione di Gesù. I monti evocano la vicinanza a Dio; l’esperienza mistica di tanti “uomini di Dio” sarà segnata dalla solitudine e dall’altitudine.
L’ascesa di Abramo sul monte Mòira, descritta dalla prima lettura, esprime il dramma dell’uomo credente provato fino alle estreme conseguenze.
Non è a rischio la sua vita, la tragedia è lo scambio con la vita del figlio Isacco: “Prendi il tuo figlio, il tuo primogenito che ami e offrilo in olocausto” (Gen 22,2). Il testo descrive un cammino di ascesa simile al cammino di Gesù verso il Calvario. Ma chi è la vittima sacrificale? Chi è il carnefice? Nel dialogo con Dio, Abramo è sottoposto a una lacerazione indicibile tra l’amore per il figlio e la fede in Dio.
Il dramma è aggravato dalle domande di ID sacco, che diventano come una lama che fende il costato di Abramo: “Padre mio, ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?” (v. 7).
La vera vittima sacrificale non è Isacco, ignaro di tutto fino all’ultimo, ma Abramo stesso. È lui che muore interiormente per l’atto che dovrà compiere. Ma la sua morte è l’inizio di una nuova vita, la sua e quella di suo figlio Isacco: “Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato il tuo figlio unigenito” (Gen 22,12). Dio risparmierà Isacco, il figlio della promessa, promessa fatta ad Abramo che verrà riconfermata con una voce dal cielo: “Io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza” (v. 17).
Ma Dio non risparmierà il suo figlio Gesù, l’unigenito, l’amato. Egli “lo ha consegnato per tutti noi” (Rm 8,32). I due termini: l’unigenito e l’amato, identificano sia Isacco (Gen 22,2.12) che Gesù (Mc 1,11; 9,7), entrambi sono così chiamati da Dio. I Padri della Chiesa hanno visto in Isacco la figura di Cristo, il figlio innocente offerto in olocausto. Il monte Mòira sarà il luogo della conferma dell’alleanza, che porta Dio a giurare su se stesso, commosso dalla fede di Abramo (Gen 22,16; Eb 11,17). Il monte Calvario sarà il luogo della indissolubilità dell’alleanza, suggellata nel sangue del Figlio di Dio.
Il Tabor, che oggi saliamo, è la sintesi avanzata, che apre profeticamente la prospettiva della nuova condizione dell’umanità, che ha attraversato la grande tribolazione della vita. Elia e Mosè attestano il cammino dell’antica alleanza fino a Gesù, la Trasfigurazione mostra la novità della risurrezione e la nuova condizione dei credenti, cittadini della Gerusalemme celeste. Il cammino della nostra Quaresima è anche un’ascesa faticosa, a motivo del peso della nostra umanità segnata dal peccato; ma la Pasqua entrata nella nostra vita con il battesimo, e sostiene il cammino come il Cireneo ha sorretto la croce di Gesù.
Don Andrea Rossi