“Del battesimo di Gesù parlano tutti e quattro gli evangelisti, ma lo fanno quasi con disagio: si tratta del Figlio di Dio confuso tra la folla dei peccatori, che accorrono da Giovanni Battista per sottomettersi a un rito di penitenza”. Il catechismo degli adulti Cei, La Verità vi farà liberi (sopra il par. 179) non ignora i problemi connessi con il battesimo di Gesù. Un episodio imbarazzante, soprattutto per due questioni: il rapporto di Gesù con il Battista e il battesimo per la remissione dei peccati che questi impartiva, secondo quanto scritto in Lc 3,3. Gesù aveva forse bisogno di essere perdonato da peccati? In fila con i peccatori. Solo Luca ci dice che Gesù ricevette il battesimo dopo che tutto il popolo era stato battezzato: “quando tutto il popolo fu battezzato” (3,21). Gesù si mette in fila come gli altri. Ed è l’ultimo di questo lungo corteo. Non chiede un pass per scavalcare e arrivare prima o avere posti preferenziali.
Quello che si celebra nel tempo di Natale – che con la festa di oggi si chiude – è il mistero dell’incarnazione, e l’immersione nel Giordano è un segno che dice quale sorte ha condiviso la Parola fatta carne: quella dei peccatori. Come scrive Paolo, “colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2Cor 5,21). Quale natura è stata redenta, cioè assunta dall’incarnazione? La nostra, in tutte le sue cose belle ma anche in tutte le sue debolezze. Tale solidarietà è talmente profonda, che il battesimo nel Giordano, scrive ancora il catechismo Cei, “appare quasi un preludio del supremo ‘battesimo’ nelle acque della morte per i nostri peccati”. Nemmeno la morte infatti può essere evitata: fa parte dell’esperienza di quelli – tutti noi – che sono in fila. Così il catechismo universale (603): “Avendolo reso così solidale con noi peccatori, ‘Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi’ (Rm 8,32) affinché noi fossimo ‘riconciliati con lui per mezzo della morte del Figlio suo’ (Rm 5,10)”.
Ripartire dal Giordano. Gesù, prima di essere tentato, e poi iniziare il suo ministero, parte da lì. E anche se questo aspetto è più evidente nel Vangelo di Matteo (Luca nemmeno dice da quali acque esca Gesù), la sua funzione teologica è fondamentale. Che cosa poteva capire la gente che assisteva a questa scena, e vedeva Gesù, uno in fila come gli altri? La biblista Bruna Costacurta scrive parole bellissime su questo fiume, ricordando i vari passaggi che lì si sono compiuti, dal primo esodo di Israele dall’Egitto, fino al ritorno da Babilonia: “Il Giordano è fondamentale, bisognava attraversarlo per entrare nella terra promessa, e lo attraversa Gesù per entrare nella sua missione; adesso non è più il popolo che lo attraversa, non ci sono più le acque che si aprono, c’è un uomo che attraversa il Giordano in situazione, almeno esteriore, di penitenza. E quando il passaggio del Giordano di Gesù – che è il suo battesimo – si compirà definitivamente, e la salvezza sarà finalmente realizzata nella sua morte e resurrezione, tutta la visibilità della potenza di Dio, della salvezza di Dio, sarà un uomo appeso ad un legno e addirittura neppure quello perché la tomba, che dice la salvezza definitiva, sarà vuota. Non si vede più niente, perché non serve vedere più niente, perché siamo davanti alla realtà che i nostri occhi devono decifrare nella fede. C’è dunque qualcosa della mediazione, della visibilità, che necessariamente deve sparire. L’economia dell’incarnazione è questa”.
Il Figlio in preghiera. Soltanto Luca ci dice che Gesù, ricevuto il battesimo, “stava in preghiera”. Proprio il Terzo Vangelo ha una attenzione particolare a questo aspetto: i momenti più decisivi del ministero di Gesù sono preparati o accompagnati da una preghiera più intensa: il suo battesimo, appunto, la scelta dei dodici (6,12), la domanda posta ai Dodici su chi è Gesù per la gente (9,18), la trasfigurazione (9,28), la passione (22,41-45). Il Figlio amato. “Luca non riferisce alcuna parola di questa preghiera e non si sa nulla di quanto ha potuto dire Dio in quel momento. Tuttavia, le parole scese dal Cielo, come in risposta alla preghiera di Gesù, permettono di capire che questa preghiera è quella di un figlio a suo Padre; questi infatti lo riconosce come il suo figlio prediletto” (Meynet).
Gesù prega il Padre perché è un figlio che ama e vuole stare con Lui. Un amore che in Luca costituisce la personalità di Gesù sin dalla sua infanzia: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49). La missione del Servo che darà la vita (il contesto della scena del Vangelo di oggi richiama il libro di Isaia e la vocazione dell’eletto; Is 42,1) inizia dalla comunione con il Padre e dal dono dello Spirito. Anche a noi cristiani è stata data la grazia dello Spirito. Anche per noi c’è una missione da compiere, nella chiesa e nel mondo. Chiediamo di conoscerla, come Gesù ha conosciuto la sua al Giordano, e di poterla vivere. Perché questo accada, il dono dello Spirito va sempre chiesto con insistenza: “il comportamento di Gesù che prega quando viene lo Spirito, deve servire da esempio ai credenti: il dono dello Spirito Santo infatti è la domanda essenziale della preghiera cristiana” (Rossé).