È la domenica del seminatore. Il Vangelo di Matteo ci presenta Gesù lungo il mare di Galilea, costretto a salire su di una barca a motivo della numerosissima folla radunatasi attorno a lui. Egli parla dal mare mentre tutti gli ascoltatori sono sulla terra. Forse l’evangelista vuole sottolineare fin dall’inizio che il seme non viene dalla terra, ma da fuori, dal mare. È comunque una parabola importante per tutti, in particolare per i discepoli. Caso raro nei Vangeli, Gesù stesso ne dà la spiegazione, quasi a voler dire che se non si comprende questa non si possono comprendere neppure le altre parabole. Capirla perciò è essenziale per chi vuole seguire Gesù. Il senso di fondo è chiaro: si deve vivere dell’ascolto del Vangelo e non della propria presunzione.
Narra Matteo che il seminatore, di buon mattino, esce per seminare e a larghe bracciate getta il seme davanti a sé. Sembra non preoccuparsi di scegliere il terreno, visto che tre quarti dei semi vanno perduti a causa delle precarie o addirittura avverse condizioni del suolo. Solo quei semi che cadono sulla terra buona danno un frutto abbondante. Gesù, anche se non lo dice, si paragona al seminatore. È sua, tipicamente sua, certo non nostra, la generosità nello spargere il seme. Un generosità che potrebbe apparire faciloneria. Quel seminatore, infatti, non è un misurato calcolatore. Anzi, potremmo dire che persino spreca il seme. Sembra, inoltre, che riponga fiducia anche in quei terreni che sono più una strada o un ammasso di pietre che una terra arata e disponibile.
Eppure anche là il seminatore getta la semente; chissà, magari in una crepa, il seme potrebbe attecchire prima che il “maligno” venga e lo rubi. Certo è che tutto il terreno è importante per il seminatore. Importante forse quanto lo stesso seme. Può essere un terreno ingombro di sassi, grandi come macigni, oppure pieno di erbe amare e di sterpaglie selvatiche; o anche arido e sassoso, scosceso e impervio. Eppure per il seminatore non c’è parte di questa terra che egli non consideri degna di attenzione. Nessuna porzione è scartata. Ma cosa è il terreno? È il mondo, è ciascuno di noi, è ogni uomo ed ogni donna a qualsiasi razza e cultura appartenga. Non è difficile riconoscere nella diversità del terreno la complessità del nostro mondo e quella personale di ciascuno di noi. Gesù non vuol dividere gli uomini e le donne in due categorie, quelli che rappresentano il terreno buono e gli altri il terreno cattivo.
Ciascuno di noi riassume in se stesso tutte le gradazioni di terreno riportate dal Vangelo. Ognuno di noi un giorno può essere più sassoso e un altro meno; altre volte accoglie il Vangelo ma poi si lascia sorprendere dalla tentazione; e in un altro momento ancora ascolta e porta frutto. Una cosa è certa per tutti gli uomini e per tutti i momenti della vita: tutti abbiamo bisogno che il seminatore entri nel nostro terreno, ne rivolti le zolle, vi tolga i sassi, ne sradichi le erbe amare e vi getti con abbondanza il seme. Al terreno è chiesto anzitutto di accogliere il seme; sembra quasi che al seminatore non importi poi tanto che la terra sia piena di sassi o ben arata. Il seme è la Parola di Dio; e viene dal “mare”, da fuori. Ed è sempre un dono, che per di più il seminatore getta con generosità e larghezza.
Questo seme, pur venendo da fuori della nostra vita, entra così profondamente nel terreno da diventare una cosa sola con esso. Le nostre mani, abituate forse a toccare cose che giudichiamo grandi di valore, considerano poco questo piccolo seme. Quante volte abbiamo ritenuto ben più importanti le nostre tradizioni e le nostre convinzioni rispetto alla debole e fragile parola evangelica! Eppure, come nel piccolo seme è raccolta tutta la forza che porterà alla pianta futura, così nella parola evangelica risiede l’energia che crea il nostro futuro e quello del mondo. Ogni domenica riceviamo questo piccolo seme per scoprirne il valore e per lasciarlo libero di sprigionare quella forza vitale che rompe ogni ostacolo sino a giungere alla pienezza.
Il profeta Isaia lo aveva già detto: “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare… così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”.