Il Vangelo di questa XIV domenica ci riporta a Nazareth con Gesù che torna nella sua “patria”. La sua fama si era diffusa ben oltre la Galilea e aveva raggiunto persino Gerusalemme. Per questo in molti sono accorsi nella sinagoga per ascoltare le parole del loro concittadino. Tutti i presenti, nonostante lo conoscano bene, restano stupiti delle parole che escono dalla sua bocca. E si pongono anche la domanda giusta, quella che dovrebbe aprire alla fede: “Donde gli vengono tali cose?”. Se avessero ricordato le antiche parole rivolte a Mosè: “Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli un profeta pari a me; a lui darete ascolto” (Dt 18 15), avrebbero accolto non solo le parole ma lo stesso Gesù come inviato di Dio.
Purtroppo, gli abitanti di Nazareth si bloccano davanti al carattere ordinario della sua presenza: non è così che essi immaginano un inviato di Dio; pensano che un profeta debba avere i tratti della straordinarietà e del prodigioso, e che i suoi tratti debbano essere quelli della forza e della potenza umana. Gesù, invece, si presenta loro come un uomo normale. La famiglia di Gesù è davvero normale, né ricca né indigente. Non sembra godere di particolare stima da parte dei cittadini di Nazareth: “Non è il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?” continuano a chiedersi gli ascoltatori nella sinagoga.
Insomma, per i nazareni Gesù non ha assolutamente nulla che possa distinguerlo da loro. Gli riconoscono certamente una notevole sapienza e una rilevante capacità taumaturgica, ma la vera questione è che essi non possono accettare che egli parli con autorità sulla loro vita e sui loro comportamenti. Ecco perché la meraviglia si trasforma subito in scandalo. “Si scandalizzavano di lui”, aggiunge l’evangelista. E quel che sembrava un trionfo divenne un totale fallimento. Una cosa sola non riuscirono a sopportare: che un uomo come lui, che tutti conoscevano benissimo, potesse però avere autorità su di loro, ossia che pretendesse in nome di Dio un cambiamento della loro vita, del loro cuore, dei loro sentimenti.
Tutto ciò non potevano accettarlo da un uomo “normale”, appunto, da uno di loro. Ma questo è lo scandalo dell’incarnazione: Dio agisce attraverso l’uomo, con tutta la pochezza e la debolezza della carne; Dio non si serve di gente fuori dal comune, ma di persone qualsiasi; non si presenta con prodigi o parole stravaganti, bensì con la semplice parola evangelica e con i gesti concreti della carità. Il Vangelo predicato e la carità vissuta sono i segni ordinari della straordinaria presenza di Dio nella storia. L’apostolo Paolo scrive ai Corinzi: “I Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio” (1 Cor 22-25). Sappiamo bene tutti quanto poco sia accolta dalla mentalità comune (di cui tutti siamo figli) questa logica evangelica.
Gesù a Nazareth ne fa esperienza diretta. E con amarezza nota: “Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. Se il libro dei Vangeli potesse parlare, senza dubbio lamenterebbe la solitudine in cui spesso è relegato; e avrebbe da accusare ‘noi di casa’ per le tante volte che lo spingiamo ai margini della vita, lasciandolo muto, perché non parli e non agisca. Gli uomini di Dio, i profeti, lo sanno bene. “Me infelice! Madre mia che mi hai partorito oggetto di litigio e di contrasto per tutto il paese”, grida Geremia (15, 10). Ed Ezechiele – lo leggiamo nella prima lettura – si sentì preannunciare lo stesso dramma: “Io ti mando dagli Israeliti, a un popolo di ribelli (…)”. Anch’essi, come Gesù, debbono spesso constatare il fallimento della loro parola. Tuttavia, il Signore aggiunge: “Ascoltino o non ascoltino – perché sono una genia di ribelli – sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro”.
Dio è fedele, sempre. La Parola non tace, e il Vangelo sarà sempre predicato. Chi lo accoglie e lo mette in pratica salva la sua vita. Chi si comporta come gli abitanti di Nazareth, ossia chi non accetta l’autorità di Gesù sulla sua vita impedisce di fatto al Signore di operare. Sta scritto che a Nazareth Gesù non poté operare miracoli; non è che non volle, “non poté”. I suoi concittadini volevano che operasse qualche miracolo, ma non avevano capito che non si trattava di prodigi o di magie al servizio della propria fama. Il miracolo è la risposta di Dio a colui che tende la mano e chiede aiuto.
Nessuno di loro tese la mano, tutti semmai avanzavano pretese. No, non è questa la via per incontrare il Signore. Questa pagina evangelica è un insegnamento salutare per ogni credente: guai a sentirsi sazi perché la sazietà porta a non sentire più il bisogno del Vangelo, guai a ridursi come i nazareni, sicuri di se stessi e delle proprie tradizioni perché questo porta ad allontanare Gesù dalla propria esistenza. Stare davanti a Dio con un atteggiamento di pretesa e non di richiesta di aiuto, significa mettersi fuori dalla sua compassione e dalla sua misericordia. Dio non ascolta l’orgoglioso, ma volge il suo sguardo sull’umile e sul povero, sul malato e sul bisognoso. A Nazareth, infatti, Gesù poté guarire solo alcuni malati: appunto, quelli che invocavano aiuto mentre passava. Beati noi se, staccandoci dalla mentalità dei nazareni della sinagoga, ci mettiamo accanto a quei malati che stavano fuori e che chiedevano aiuto al giovane profeta che passava.