Erano come pecore senza pastore

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Vincenzo Paglia vescovo di Terni - Narni - Amelia XI Domenica del tempo ordinario - anno A

“Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore”. L’evangelista parla della compassione di Gesù per le folle stanche e abbandonate. Sono le folle di ieri, quelle che stavano davanti agli occhi di Gesù, e le folle di oggi, quelle vicine a noi e quelle lontane. Penso in particolare alle centinaia di migliaia di profughi albanesi e anche ai serbi del Kossovo. Come allora, anche oggi sono in pochi a preoccuparsi di loro, della loro esistenza, dei loro problemi. Mentre in molti siamo ripiegati su noi stessi e preoccupati solo dei nostri piccoli o grandi problemi, queste folle spesso sono totalmente abbandonate al loro amaro destino.

La preoccupazione per il bene comune diventa sempre più rara. Gesù, per molta gente, era divenuto l’unica speranza, l’unico appiglio. Questo spiega il grande numero di uomini e di donne che lo seguivano. Il Vangelo scrive che accorrevano da ogni parte per chiedergli aiuto: e Gesù non mandava indietro nessuno. Ma il numero di coloro che venivano a lui era ormai così grande da non riuscire più ad ascoltarli e ad aiutarli. Per questo Gesù dice che “la messe è molta, ma gli operai sono pochi!”.

Per Gesù non c’è anzitutto il rapporto con la massa, con le folle, che pure vediamo di frequente nei Vangeli; quel che davvero conta, e quel che davvero serve, è il rapporto personale, il colloquio, il contatto tra persona e persona. Questa preoccupazione, profondamente umana, lo spinge a mandare in suo nome e con i suoi stessi poteri quel gruppo di discepoli che egli aveva radunato. Il Vangelo di Matteo, in due versetti, ci riporta i nomi dei dodici apostoli. C’è di tutto tra loro. Ci sono nomi greci accanto a nomi giudaici; uomini provenienti dal nord e altri dal sud della Palestina; semplici pescatori assieme a membri del partito rivoluzionario degli zeloti (Simone il Cananeo), seguaci del penitente Giovanni Battista (Giacomo e Giovanni) e pubblicani peccatori (Matteo).

È un gruppo piuttosto eterogeneo nel quale l’origine territoriale e la militanza ideologica passano in secondo ordine.Quel che conta è l’adesione a Gesù e l’obbedienza alla sua parola; queste due dimensioni costituiscono la loro nuova identità. Non sono più riconosciuti e additati come il pubblicano, lo zelota, il pescatore, bensì come quelli che stanno con il Nazareno. Gesù, come ha cambiato il nome del primo di loro, Simone, chiamandolo Pietro, così cambia la storia dei discepoli.

Il loro nuovo “nome” è “servi del Signore”, ossia coloro che svolgono la sua stessa missione; essi dovranno dire le stesse cose che diceva Gesù e fare le sue stesse opere. Chi diviene discepolo non è più come prima; da quel momento riceve – come scrive l’evangelista – il “potere” di cacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni malattia e infermità.Questo potere viene trasmesso ai discepoli di ogni tempo, non solo ad alcuni in particolare (come ad esempio ai sacerdoti o ai religiosi o agli esorcisti). Ogni cristiano che ascolta il Vangelo e cerca di seguirlo, riceve sin dal battesimo la forza dello Spirito santo.

A tutti è dato, e tutti hanno il dovere di esercitarlo. Non si tratta, com’è ovvio, del potere delle armi o di quello politico, men che meno del potere della ricchezza. Tanto è vero che Gesù nel mandare i suoi discepoli li obbliga con precise indicazioni: “non vi procurate oro o argento o denaro per le vostre tasche, non una borsa per il viaggio, né due tuniche, né calzature e neppure un bastone”. Eppure quei discepoli avevano bisogno di tali cose. Ma il loro “potere”, quello conferitogli da Gesù, quindi l’unico davvero efficace e comunque l’unico di cui dovevano farsi forti, era la parola e la superiorità sugli spiriti cattivi. Dice loro: “durante il cammino predicate dicendo: è vicino il regno dei cieli. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, mondate i lebbrosi, scacciate i demòni”.

È un potere vero quello dato ai cristiani: è la forza debole del Vangelo. Tale potere non viene da noi, né dalla nostra tradizione, né dalla nostra origine familiare, né dalle nostre capacità personali. Gesù dice a quei discepoli, forse sempre più stupefatti di tanta fiducia (sanno bene anche loro di che pasta sono fatti): “avete ricevuto gratuitamente, date gratuitamente”. Quel “potere” viene da Dio. E’ vero, nessuno può vantarsene; ma nello stesso tempo nessuno può nasconderlo per pigrizia o per paura. L’ideale del cristiano e di ogni comunità ecclesiale non consiste nella rinuncia al cambiamento, alla lotta, all’impegno. Al contrario bisogna seguire il Signore per compiere le opere straordinarie che egli compiva e per esercitare quel potere che egli confida ai suoi.

Tutti i discepoli ricevono “gratuitamente” questa energia; anche il più debole e fragile tra noi ne viene coinvolto. Gesù mette in guardia dalla tentazione di sottrarsi magari con la scusa che solo alcuni sono deputati ad esso o solo altri ne sono capaci. Per tutti è possibile esercitare questo potere, perché altro non è che l’amore. E tutti possono amare e servire. Con l’amore infatti si annuncia il Vangelo, si scacciano gli spiriti cattivi e si costruisce un mondo più bello e umano.

AUTORE: Vincenzo Paglia