Silenzio. Le luci delle candele entrano una a una nella cappella appena illuminata, con le sue volte basse pronte ad accogliere volti, mani e passi. Nell’oscurità che non ferisce gli occhi ancora carichi di tanti pensieri, il corteo si snoda lentamente, riempiendo le panche di piccole luci, mentre in sottofondo un violino inizia ad annunciare che è questo il tempo di “ricominciare”.
Inizia così, con una processione suggestiva di cento giovani, il momento più intenso della giornata vocazionale regionale ospitata dal Seminario regionale di Assisi. Alcuni varcano la soglia senza aspettarsi nulla in particolare. Altri invece attendono le parole di un padre, le parole del vescovo Domenico Cancian, della diocesi di Città di Castello. Non chiedono che dia loro risposte, ma che faccia luce, come un cero pasquale, indicando qualche strumento per iniziare a camminare, per iniziare a scorgere quella vocazione su cui da tutto il pomeriggio stanno meditando.
Da diverse ore infatti sono stati stimolati a interrogarsi sulla missione racchiusa nel nome che Dio ha pensato per ciascuno di loro. Quale sia questo nome è difficile da scorgere; d’altronde a Dio piace sorprendere, cambiare le carte in tavola e fare una cosa nuova. Lo aveva scoperto a sue spese Zaccaria, di cui i ragazzi avevano ripercorso la storia: sacerdote della classe di Abìa, cui Dio nella vecchiaia aveva finalmente deciso di donare un figlio. Le sue preghiere erano state ascoltate, Dio aveva suscitato la vita nel grembo della moglie Elisabetta; il bambino però non avrebbe dovuto chiamarsi come suo padre o come un altro membro della famiglia. Il nome pensato da Dio era diverso, nuovo, perché conteneva la missione affidata a lui: “Dio fa grazia oggi” (“Giovanni”).
Ai nomi vecchi anche i ragazzi sono abituati: nomi che legano al passato, a quei genitori da cui vorrebbero tanto distinguersi; nomi che spesso mettono in luce ferite e limiti. Per gettare uno sguardo su queste false identità in cui le situazioni della vita sembrano racchiuderci, si erano confrontati con otto personaggi della mitologia greca, trovando quello più somigliante. Ora però anche loro hanno bisogno di una parola nuova, di un nome nuovo, e questo nome può darglielo solo Dio.
Così hanno accolto l’invito e, ciascuno con la sua candela in mano, si incamminano verso il luogo dove Dio li attende. Ascoltano dapprima una storia, la storia di suor Agnese, che racconta loro come fin da piccola fosse stata curiosa di conoscere il significato del suo nome: “purezza”. Era un nome alto, impegnativo, quello pensato dai suoi genitori, ma non era quello voluto da Dio. Quello lo aveva scoperto qualche anno dopo, quando ha sentito che Dio la chiamava semplicemente: “Mia”.
Il vescovo Domenico a quel punto inizia a raccontare la sua, di storia, a parlare dei segni di vocazione nascosti nei suoi primissimi giorni di vita: la nascita in una notte di Pasqua, l’agnellino che i genitori avevano dovuto portare al sacerdote per il battesimo, come da tradizione, infine il nome Domenico, cioè “del Signore”. “I nostri sogni – dice – sono molto più piccoli di quello di Dio su di noi. Mettetevi alla ricerca di quale sia!”.
Nel silenzio carico di preghiera, il Vescovo racconta anche di Vittorio Trancanelli, stimato medico di Perugia che insieme alla moglie aveva scelto di rinunciare ad automobili di lusso, ville e successo, per aprire le porte della sua casa a ragazzi in cerca di cure e di affetto. Pian piano la casa era diventata piena di figli. E quando il Signore aveva deciso di richiamarlo a sé, circondato dall’affetto della moglie e di tutti i suoi ragazzi, Vittorio esclamava: “Lia, abbiamo indovinato la vita!”. Il suo nome aveva acquisito il senso pieno, voluto da Dio: vittoria non sugli altri, non negli agi e nel successo, ma sull’egoismo e le difficoltà.
Qualche volto rigato di lacrime ascolta, dall’ambone un sacerdote legge: “Al vincitore darò una pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi lo riceve” (Apocalisse 2,17). Quella pietruzza, lavorata, ripulita e munita di laccetto, ora il vescovo Domenico è pronto a metterla al collo di ciascuno di loro. Uno a uno i ragazzi si alzano, in processione, e accolgono quella pietruzza che il pastore pone loro assieme ad una carezza.
C’è anche il card. Gualtiero Bassetti, venuto da Perugia per partecipare a questo momento. Mentre tornano al posto e ricevono la benedizione dei due Vescovi, i ragazzi sanno che i nomi con cui sono abituati a sentirsi chiamare sono buoni per gli uomini. Dio invece ha pensato qualcosa di più grande.
Com’era strutturata la Giornata
All’invito lanciato dall’ufficio regionale di Pastorale vocazionale hanno risposto oltre 100 tra ragazzi umbri e accompagnatori, incontrandosi nel pomeriggio di domenica scorsa, 7 maggio, al Seminario regionale di Assisi. Oltre al luogo, anche la data non era casuale: si trattava infatti della cosiddetta domenica “del Buon Pastore”, giornata nella quale la Chiesa prega in modo speciale per le vocazioni. L’evento dal titolo “Il tuo nome, la tua missione” si è svolto in tre momenti. Inizialmente i ragazzi hanno ascoltato una catechesi di don Alessandro Scarda, responsabile diocesano, di Perugia, e regionale della Pastorale delle vocazioni. Fulcro dell’intera giornata è stato il momento di celebrazione guidato dal vescovo di Città Castello, mons. Domenico Cancian, delegato Ceu per la Pastorale vocazionale. Una suggestiva processione aux flambeaux ha guidato i ragazzi dal cortile esterno fin dentro la cappella del Seminario dove hanno potuto ascoltare la testimonianza di suor Agnese, suora francescana del Piccolo Testamento, e dello stesso vescovo Domenico. Un piccolo segno ha suggellato tutto il percorso: una piccola pietra posta dal Vescovo sul collo di ogni ragazzo, a richiamare il passo di Ap 2,17: “Al vincitore darò una pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi lo riceve”.