Sembra una costante dell’agire di Dio che le meraviglie della Salvezza si compiano durante la notte. La notte di Pasqua sarà detta la “notte delle notti”, perché ricapitola tutte le notti grandi che l’hanno preceduta nell’Antico Testamento. La liturgia ne conosce quattro fondamentali. La notte della creazione, quando Dio estrasse il mondo dalle tenebre del caos; la notte in cui chiamò Abramo e gli chiese il figlio; la notte dell’esodo dall’Egitto, quando chiamò all’esistenza una massa che era un non popolo; infine la notte della risurrezione di Gesù. Nella notte di Natale, anonimi e spaventati pastori della Giudea ne vissero un anticipo, quando udirono un annuncio simile a quello che accoglierà tre donne spaventate al sepolcro del Signore, la mattina di Pasqua: “Non temete! Io vi annuncio una grande gioia: oggi vi è nato un Salvatore”. Ma già una luce potente e terribile squarciava le tenebre e li avvolgeva.
La loro vita da quel momento cambiò per sempre. E la notte si riempì di canti, quando all’angelo annunciatore si unì una schiera innumerevole di spiriti celesti che cantava a Dio dandogli gloria e augurando pace agli uomini da Lui amati. Alcuni secoli prima, il profeta Isaia aveva intravisto questa notte e l’aveva cantata. L’ascolteremo nella prima lettura della liturgia notturna. Nella prima sequenza (Is 9,1) un popolo avanza triste, a tentoni, in un buio profondo e interminabile; all’improvviso è sorpreso da una luce potente e inaspettata. Una folgorazione che capovolgerà le sorti di quella massa dolorante. Altrettanto improvvisamente la festa, la gioia, il giubilo, diventano incontenibili. Si esulta davanti a Dio con un’allegria paragonabile a quando dai campi raccoglievano frutti abbondanti, grano, olive, uva… o come quando, al termine di una battaglia vinta, si spartivano le prede sottratte al nemico (v. 2). Ma il poeta tiene ancora nascosto il perché di tanta festa.
Una seconda sequenza (v. 3) già lo lascia confusamente intravedere. Ci sono uomini in cammino verso l’esilio: perché nessuno fugga, li hanno aggiogati due a due, mentre gli aguzzini li spingono avanti percotendoli con verghe. Al folgorare di quella luce, i gioghi si spezzano, si spezzano le verghe. La gente è libera, grida, esulta, festeggia. Stava avvenendo quello che era avvenuto qualche secolo prima, quando Dio, con pochi uomini al comando di Gedeone, prodigiosamente aveva sterminato una torma predoni nomadi, i Madianiti, che da decenni devastavano periodicamente i campi di Israele, riducendo la gente sul lastrico. Il fatto era rimasto talmente impresso nella memoria collettiva, che semplicemente lo chiamarono “il giorno di Madian”.
Un’altra sequenza procede crescendo rumorosamente verso il centro del poema, dove si scioglierà l’enigma (Is 9,4). Uno scarpone militare marcia rimbombando. Le mimetiche da combattimento, intrise di sangue e di fango, scompaiono in una fiammata. Tutto è divorato dal fuoco. È la fine della battaglia. Dopo tanto fracasso, ecco il centro del poema, dove tutto si scioglierà in un verso brevissimo, tenero, silenzioso, fatto di tre sole parole ebraiche: “Ci è nato un Bimbo” (Is 9,5). Questo evento, tanto piccolo da non sembrare nemmeno un evento, tanto è ordinario, fu in realtà la causa scatenante di quella pace improvvisa e impensata. Poi il poema si espande tranquillo, nella contemplazione del neonato. La folla liberata lo acclama: Consigliere prodigioso! Eroe divino! Padre per sempre! Principe di pace! La pace sarà veramente senza fine, perché sarà fondata sul diritto e sulla giustizia. Il popolo e la terra, finalmente liberati, avranno nuovamente un re; il regno di Davide è finalmente rinato. Ascolteremo risuonare questi versi anche nel canto di ingresso della messa di mezzogiorno, quando l’annuncio di questo Bambino si espanderà ancora.
La Lettera agli Ebrei dirà che – attraverso questo Figlio – Dio ha riassunto e compiuto le parole già rivelate ai padri nei tempi antichi (Eb 1,2). Attraverso di lui il Padre ha detto tutto quanto aveva da dirci per la nostra salvezza. Non solo. Questo Figlio è irradiazione della sua gloria (Eb 1,3); è Dio lui stesso. Il culmine della rivelazione su questo Bambino misterioso è raggiunto nel prologo del Vangelo secondo Giovanni, da cui sappiamo che Egli era prima dei tempi, nel principio (Gv 1,1), che è la Parola del Padre per mezzo della quale fu creato l’universo (v. 3) dove il Bambino è entrato come luce (v. 5), la stessa intravista dal profeta Isaia. Egli era venuto in realtà a casa sua, ma la gran parte dei suoi non lo hanno voluto riconoscere (v. 11). Alcuni però sì; lo hanno riconosciuto e accolto (v. 12). A loro volta sono stati riconosciuti e accolti dal Padre, che li ha fatti suoi figli, a somiglianza di suo Figlio (v. 12). Incredibile.