Quali caratteristiche avrà il cristianesimo del secolo appena iniziato? Si è voluto rispondere anche a questa domanda con il seminario di studio “Religione, Chiesa e modernizzazione: il caso italiano”, organizzato dall’Istituto Teologico di Assisi e svoltosi nella città di San Francesco lo scorso 9 maggio. Il seminario ha presentato alcuni risultati di una ricerca sociologica sulla religione in Italia, ma ha fornito anche una chiave di lettura teologico-pastorale. Il dott. Luca Diotallevi(sociologo della religione presso la terza Università di Roma) ha esposto come introduzione alcuni dei contenuti presentati in una sua recente pubblicazione. Il prof. Cipriani (Università di Roma Tre), docente di sociologia, ha fornito ai molti presenti una lettura sociologica del “caso italiano”. E’ toccato, infine, a mons. Lorenzo Chiarinelli, vescovo di Viterbo, già presidente della Commissione episcopale della Cei per la Dottrina e la fede, fornire una lettura teologico-pastorale dei dati che i sociologi hanno evidenziato. Dopo i saluti e la presentazione del convegno da parte di mons. Vittorio Peri, preside dell’Istituto Teologico di Assisi, il dott. Luca Diotallevi ha presentato la sua tesi. Secondo il ricercatore la situazione nell’Italia degli ultimi 150 anni, l’epoca della cosiddetta modernizzazione, rappresenta un vero “rompicapo”. La situazione religiosa nel paese non è spiegabile con gli attuali paradigmi scientifici: le contrapposte teorie della “secolarizzazione” e del “mercato religioso”. Secondo le quali c’è proporzione tra avanzamento della modernizzazione sociale e crisi della religione. Per questo paradigma la prima vittima religiosa della modernizzazione sociale è la “religione di Chiesa”, soprattutto il cattolicesimo. In Italia, al contrario – afferma Diotallevi – c’è “troppa” religione. Per necessità di sintesi riportiamo solo un dato tra i tanti presentati per avvalorare questa tesi: se nel periodo 1881-1931 il rapporto preti-abitanti è sceso da 3/1000 a 1,2/1000, nel periodo 1931-1981 è sceso solo dal 1,2/1000 a 1,1/1000. Ma sono in difficoltà anche i sociologi della teoria del “mercato religioso” per la quale, se c’è pluralismo religioso, in una società avanzata la partecipazione religiosa invece di calare cresce. La crisi delle religioni di Chiesa viene spiegata come crisi di monopoli religiosi. Anche questo non vale per l’Italia: la ricerca di Diotallevi ha evidenziato che c’è sì una diversificazione della proposta religiosa (come, ad esempio negli Usa), ma quesa è quasi tutta interna alla Chiesa con tanti gruppi, associazioni, movimenti, ordini religiosi. Il modello religioso italiano, per il ricercatore, è costituito su tre fattori principali: diversificazione dell’offerta religiosa, alto livello di protezione politica di cui hanno goduto i cattolici (dal 1929 al 1990 il “mercato religioso” è stato protetto dall’ingresso di organizzazioni non cattoliche), modernizzazione italiana più soft rispetto a quelle di altri paesi dove è stata più lacerante per la religione. Il prof. Roberto Cipriani ha fornito una lettura sociologica sul caso italiano fondando il suo intervento su alcune premesse: la ricerca sull’indagine sulla religione in Italia del 1994/95, il pluralismo religioso e morale di questi tempi, l’indagine sociologica, ancora in lavorazione, sui pellegrini giubilari che sono andati a Roma durante l’Anno Santo. Il relatore ha presentato la situazione italiana rapportandola anche con quella degli Stati Uniti. Per brevità di spazio purtroppo non possiamo addentrarci nel suo intervento ricchissimo di dati statistici. L’apporto sociologico è stato un ottimo stimolo per la riflessione proposta da mons. Lorenzo Chiarinelli che, partendo proprio dal lavoro dei due sociologi, ha fornito una lettura pastorale del “caso italiano” con uno sguardo proiettato al futuro. Il Vescovo ha collocato la riflessione teologico-pastorale in quella storico-culturale. La cultura degli ultimi due secoli è stata dominata dapprima dalla pretesa illuministica che voleva rendere l’uomo padrone del proprio destino, quindi dal pensiero debole che, svuotando tutto del significato, non riconosce senso a nulla. Infine dal pensiero nomade che vive senza un prima e un poi. Oggi invece, ha ricordato mons. Chiarinelli, citando il filosofo Vattimo, “non ci sono più plausibili ragioni filosofiche per essere atei o per rifiutarte la religione”. All’uomo di oggi occorre saper proporre la scoperta dell’oltre escatologico (“dell’eternità posta oltre quella soglia della speranza che deve essere varcata”), e la scoperta dell’altro, una delle scoperte più evidenti che caratterizza l’essenza della società. Ma nella scoperta dell’altro – ha aggiunto mons. Chiarinelli – si deve arrivare a scoprire il Totalmente Altro. Quali coordinate per un progetto di pastorale derivano da tutte queste considerazioni? Proprio di coordinate, e non di indicazioni precise, da elaborare dopo un’attenta riflessione, ha voluto parlare il Vescovo di Viterbo. La prima è quella di una pastorale della rivelazione. “Dobbiamo ri-sorprenderci del mondo”. Gli steccati e le frammentazioni devono lasciare il posto ad una pastorale nel mondo. “Ho paura – ha chiarito mons. Chiarinelli – di una pastorale chiusa, arroccata, conflittuale”. La seconda è una pastorale dell’ermeneutica. Come ad Emmaus Gesù stesso si svela spiegando le scritture e nella frazione del pane, così la pastorale deve essere capace di far scoprire l’esperienza di Dio dietro le realtà che si vivono. La terza coordinata è quella della pastorale della speranza e della speranza teologale. Bisogna ri-parlare del senso e della meta all’uomo del III millennio che si deve innamorare dell’obiettivo da raggiungere, magari seguendo l’esempio del libro dell’Apocalisse: racconto dell’innamoramento della meta.
Chiesa e modernizzazione: l’anomalo caso italiano
Seminario di studio promosso dall'Istituto Teologico di Assisi
AUTORE:
Francesco Mariucci