Molti sono i motivi per cui la Chiesa soffre e si sente a disagio in questa società post-moderna: la drastica diminuzione, rispetto al passato, di coloro che si impegnano nella vita pastorale, il restringimento delle comunità cristiane, la crisi di tante famiglie sono problemi che stanno dinanzi agli occhi di tutti, ma la sua difficoltà a trasmettere la fede alle nuove generazioni è forse il suo cruccio più drammatico. Esse costituiscono il terreno più arido, per certi aspetti, del grande campo di Dio che è il mondo. I giovani in particolare risentono di un processo di “es-culturizzazione” che, in maniera impressionante, tende a far sparire la cultura cattolica e l’immaginario religioso in genere. Molti di coloro – e mi riferisco alla generazione degli adulti – che pur erano impegnati nella vita ecclesiale, stanno perdendo quella visione sull’uomo e sul mondo che, per secoli, ha costituito una specie di “preambolo umano” alla fede a al suo annuncio. La crisi è perciò davvero epocale e richiede alla Chiesa di collocarsi in un contesto missionario, in cui l’insieme dei valori è “radicalmente plurale” e connotato dalla dinamica del provvisorio, dalla “realizzazione di sé”, da un senso di fragilità trasversale a tutte le istituzioni: famiglia, scuola, Stato, e quindi anche la stessa Chiesa. Purtroppo gli ambienti giovanili sono quelli in cui maggiormente questa crisi si riflette. Prima di tutto perché è proprio durante il periodo della giovinezza che i valori si elaborano, si scelgono o si rifiutano; e poi perché, fra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, molti di essi sono saltati o si sono addirittura spenti. E non tutti erano insignificanti. Pensiamo al grande impegno di quegli anni per scongiurare la miseria del terzo mondo, il senso di solidarietà fra i lavoratori, gli ideali di un progresso posto al servizio della crescita della collettività nel pianeta… e la lista potrebbe continuare. Di tutto questo cos’è rimasto? Come affrontare allora le nuove sfide? A mio avviso occorre che le nostre comunità cristiane tornino ad incontrare e dialogare soprattutto con le giovani generazioni e con questa società divenuta “plurale”; che si sentano, con la forza ed il coraggio, che vengono da Dio, maggiormente consegnate a questa storia, all’“oggi” di Dio: il passato non tornerà più. Siamo di fronte ad un mondo che soffre, anche se non ne ha consapevolezza; ma questo mondo dobbiamo saperlo guardare con gli occhi di Gesù: “Delle folle – ci dice il Vangelo – lui aveva compassione perché le vedeva come pecore senza pastore” e nel suo cuore straordinariamente umano avevano eco le malattie, le tenebre ed i peccati della gente. Perciò noi come Chiesa non possiamo che dire o dare al mondo, e particolarmente ai giovani, con tutta la gioia e serenità, di cui possiamo essere capaci, la sapienza di Gesù crocifisso, morto e risorto. Se il povero – come diceva Papa Paolo VI agli inizi degli anni ’70 – è “colui che non conta niente, che non viene mai ascoltato, di cui si dispone senza domandare il suo parere”, quante povertà invisibili sussistono, e sono proprio
Chiesa e giovani generazioni
Parola di vescovo
AUTORE:
Gualtiero Bassetti