Lo spot pubblicitario messo in onda dalla Cei per motivare la gente a destinare l’8 per mille del gettito complessivo delle tasse statali alla Chiesa suscita in me una serie di reazioni che non riesco mettere in fila…Se sia vero che, con quella firma in calce alla dichiarazione dei redditi, puoi far molto per molti, chiedilo al prete che si occupa di carcerati, chiedilo alla ragazza madre che grazie alla Chiesa non è più sola, chiedilo alla suora missionaria, chiedilo alla ragazza di Bari che, sulla base della propria fede, motu proprio, s’è organizzata un doposcuola coi fiocchi in uno dei quartieri che vede maggiormente a rischio i ragazzini del proletariato suburbano…Vero, verissimo. Giusto, giustissimo. Ricordo quando Indro Montanelli si fece chiotto chiotto un giro per le periferie di Milano, alla ricerca di chi ancora si occupava fattivamente di emarginati; e concluse: o la Chiesa o il deserto. Vero, verissimo. Giusto, giustissimo, ma sottoutilizzato. Perché aprire quella prospettiva solo in occasione di una raccolta di fondi, per quanto giusta e doverosa? “Doverosa” – intendiamoci! – anche sul versante Tremonti. Sentenziava don Lorenzo: “Un prete risparmia allo Stato tre carabinieri”. Vero, verissimo. Giusto, giustissimo, ma sottodimensionato. Potrebbe essere (o forse… dovrebbe essere), quella della nostra vicinanza ai poveri, nella tensione a far prevalere il vivere con sul vivere per, la piattaforma per tutta l’evangelizzazione. Certo, tutto sarebbe a portata di mano se fossimo al tempo di sant’Ubaldo, questo colosso dello spirito che a Gubbio dette valore di legge alla prassi dei suoi Canonici regolari (Nullum oratorium sine hospitito: proibito edificare luoghi di preghiera se lì vicino non si fanno luoghi di accoglienza). Oggi, purtroppo, tra di noi c’è chi dice, sbadigliando: ormai queste cose le fa lo Stato; e lo dice proprio mentre lo Stato ci grida: “No! No! Datemi una mano!”. Alludo ai nipoti di quegli artigianali stalinisti nostrali che nel 1970 dettero vita alla Regione Umbria all’insegna del “faccio tutto io, ragazzino dài strasa!” e che oggi utilizzano ben tre articoli del loro e nostro Statuto per sancire il Principio di Sussidiarietà. “Ormai queste cose le fa lo Stato”! A Città di Castello dicono “tònti”, con la “o” aperta. A Gubbio diciamo “tónti” con la “o” chiusa. Certo è che… tonti come noialtri la mamma ’nne fa più. La strofetta a questo punto allude ad una “macchinetta” che la castimonia di un giornale dei Vescovi vivamente sconsiglia di nominare. Ma è su questa dolce follia (“Queste cose ormai le fa lo Stato”) che siamo chiamati a esercitare quel che rimane della nostra razionalità. Alla prossima!
Chiedilo a loro!
abatjour
AUTORE:
Angelo Maria Fanucci