Il profeta Abacuc ci ricorda questo: “Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede”. Il giusto vivrà per la fede in Dio, questo è chiaro. Come è altrettanto chiaro che i discepoli riconoscono di non aver fede, e chiedono a Gesù di “accrescere la loro fede”. Gesù come sempre “esagera”, e risponde loro che poca fede basterebbe a sradicare un gelso e piantarlo nel mare. Tanto per capirci, il gelso è un albero che può arrivare a 10-20 metri di altezza e un diametro del tronco fino a un metro. Per cui, per sradicare questa enorme pianta basterebbe aver fede quanto un minuscolo granellino di senape. Immaginiamo lo sgomento degli apostoli, che non è molto distante dal nostro. Poi Gesù, come sempre, rincara la dose. Leggendo il cuore di ognuno degli apostoli – e ovviamente il nostro -, porta il discorso al suo vero centro, e lo fa attraverso un racconto di vita domestica del tempo, dove era presente la servitù.
Raccontando questo episodio, l’attenzione di Gesù non si posa tanto su come il padrone di casa tratti i suoi servi, ma piuttosto sulla reazione dei servi; i quali sanno molto bene che, non godendo (all’epoca) di diritti di nessun tipo, devono semplicemente obbedire, perfino ai capricci padroni. Qui non si tratta di essere scandalizzati dalle parole di Gesù, ma di prendere coscienza che il Signore ci porta sempre su altri binari. Noi pensiamo che questa o quelle domande siano giuste, e magari crediamo di avere anche le risposte; invece Dio ribalta sempre la situazione, mostrandoci che le domande vere non le sappiamo esprimere, e che solo Lui conosce veramente i pensieri del nostro cuore. Ecco allora dove ci conduce Gesù: al servizio totale e gratuito per il Regno. L’atteggiamento servile che Gesù descrive attraverso le tre domande del racconto è lo stesso atteggiamento che ha contraddistinto tutta la vita del Maestro: “Gesù ha vissuto con estrema gratuità il suo donarsi al Padre e all’uomo” (fra’ Marco). Gesù vuole insegnarci che, come il servo non può “pretendere” nulla dal padrone, neanche il salario, così il discepolo di Dio non può pretendere nulla da Dio. E Gesù è il Maestro perché ci ha dato l’esempio.
Certo, adesso bisogna aprire una nota dolente. Quanti cristiani-parrocchiani “chiedono conto” per i loro servizi. Quante volte, non sentendoci gratificati dagli uomini, chiediamo il conto per ciò che facciamo in parrocchia o in diocesi? Quante lamentele raccogliamo da “cristiani impegnati” perché nessuno – secondo loro – si accorge del bene che fanno? Spesso diciamo: “Adesso basta, ho fatto questo, quest’altro e quest’altro ancora, basta, basta, basta!”. Abbiamo una fede limitata nel tempo e nello spazio. Applichiamo la fede alle cose decise da noi. Faccio delle preghiere, invoco lo Spirito santo, vedo Tv2000, vado a messa la domenica… fin qui tutto bene; ma poi, quando devo applicare la fede alla vita quotidiana, no, non lo faccio. Che si tratti di fare una fila in macchina, la domanda per un mutuo, una discussione con il collega di lavoro, la scuola dei figli, una visita medica (questa forse sì, perché la paura fa diventare “credenti”), la fede resta un fatto privato che spesso mi gestisco da solo. Tertulliano diceva caro cardo salutis, è “la carne il cardine della salvezza”, e la carne è la vita reale di tutti i giorni. La fede non è una cosa che si ha in quantità per sempre: una volta acquisita, sto a posto. La fede invece è un’adesione a Gesù tutti i giorni, tutte le ore, tutti i minuti. Non c’è zona franca, non esiste luogo dove io possa vivere senza Dio, senza avere fede. Ogni mattina ci risvegliamo “atei”, e dobbiamo chiedere continuamente la fede e fare atti di fiducia in Cristo in ogni momento della nostra giornata. Se questo non lo facciamo, non possiamo dire di avere fede. Quando cerchiamo di essere riconosciuti per i servizi che prestiamo, non stiamo cercando Dio ma solamente approvazione umana. E questo non è vivere di fede. “Nella vita dobbiamo lottare tanto contro le tentazioni che cercano di allontanarci da questo atteggiamento di servizio. La pigrizia porta alla comodità: servizio a metà. È l’impadronirsi della situazione, e da servo diventare padrone, che porta alla superbia, all’orgoglio, a trattare male la gente, a sentirsi importanti ‘perché sono cristiano, ho la salvezza’, e tante cose così. Il Signore ci dia queste due grazie grandi: l’umiltà nel servizio, al fine di poterci dire: ‘Siamo servi inutili – ma servi – fino alla fine’; e la speranza nell’attesa della manifestazione, quando venga il Signore a trovarci” (omelia di Papa Francesco dell’11 novembre 2014).