Qual è l’eredità che i santi patroni Florido e Amanzio lasciano alle persone che vivono a Città di Castello all’inizio di questo terzo millennio? Sembra quasi che abbia voluto rispondere a questa domanda il cardinale Giovanni Battista Re durante l’omelia del pontificale il 13 novembre. Tantissime persone erano presenti in cattedrale il giorno dei patroni. E in tanti hanno pregato sulla tomba di Florido e Amanzio a partire dal venerdì sera, quando si è tenuta la veglia dei giovani.Il vescovo di Città di Castello, mons. Pellegrino Tomaso Ronchi, all’inizio della celebrazione ha salutato il Prefetto della Congregazione dei vescovi con molta cordialità. Tra mons. Ronchi ed il porporato c’è un’amicizia ultratrentennale. ‘Conosco il vostro vescovo – ha ribattuto il card. Re – da quando aveva la barba un po’ meno bianca!’. Anche il vescovo ausiliare di Bucarest, mons. Cornelio Damian, ha voluto prendere parte alla concelebrazione. La solennità patronale – ha ricordato mons. Ronchi – impone a tutta la comunità diocesana (religiosa e civile) un momento di riflessione e di verifica sui valori che hanno incarnato, a loro tempo, i santi Florido e Amanzio. Furono loro i ricostruttori materiali della Tiferno saccheggiata dai Goti, ma furono anche i ricostruttori morali di quella ‘civiltà dell’amore’ che ancora oggi trova tanti intrepidi ed instancabili apostoli. L’immagine del Buon Pastore – così come viene presentata dal vangelo del giorno della solennità – aiuta a capire chi siano stati i santi Florido e Amanzio e cosa abbiano rappresentato per la diocesi. Gli ascoltatori di Gesù – ha detto il card. Re – capivano bene l’immagine che risulta invece incomprensibile a chi vive in mezzo alla società industriale: chi ascoltava sapeva bene come il pastore amava le pecore: viveva tutto il giorno con loro, dormiva assieme a loro, non le abbandonava mai. Proprio così, Florido e Amanzio hanno dato la vita per i fedeli loro affidati. Tutte le loro energie furono spese per il bene degli altri. Quelli di Florido e Amanzio – ha proseguito il porporato – erano tempi difficili e turbinosi, forse più tragici di quelli in cui viviamo noi, eppure furono maestri della fede, l’uno come vescovo, l’altro come sacerdote. Entrambi ebbero la mente lucida e il cuore del buon pastore che si dona completamente agli altri e cerca di essere vicino a tutti condividendo gioie e dolori. Furono guide spirituali che santificarono la popolazione locale. Pensare ai due protettori – ha aggiunto il Prelato – vuol dire pensare alle radici cristiane della diocesi tifernate e della terra altotiberina. Presenti numerose autorità regionali, provinciali, locali e militari, durante l’omelia il cardinale Giovanni Battista Re non ha mancato di ricordare come idealmente sia la società civile che quella religiosa si stringono attorno ai loro protettori per compiere una riflessione profonda sull’identità e sui valori che loro ci hanno lasciato. ‘Amate la vostra fede cattolica’ come fecero Florido, Amanzio e tanti altri santi. Vivete la fede che amate, perché la fede deve orientare la vita e va testimoniata nell’agire di ogni uomo. La fede è il dono di Dio che sostiene il cammino ed è conforto nei momenti di sofferenza. Il cardinale ha invitato tutti ad essere fedeli ai valori che sono nella tradizione, sono radicati nei secoli, sono scritti nelle pietre della cattedrale e negli altri edifici religiosi. Spetta a noi il compito di riscoprirli.
Celebrante d’eccezione per la festa dei santi patroni
Messa con omelia del cardinale Re, amico di mons. Ronchi. Presente anche il vescovo ausiliare di Bucarest
AUTORE:
Francesco Mariucci