Le nostre coscienze sono scosse, ogni pochi giorni, dalle morti in massa di migranti che si affidano a quei barconi malandati e stracolmi che naufragano in vista delle coste italiane. Quando va bene e arrivano, arrivano comunque in condizioni pietose. Tutti vorremmo che queste tragedie e queste pene non avvenissero più. Ma come fare?
Non ho la risposta. Ma qualche informazione sugli aspetti tecnico-legali della faccenda può aiutare a capire.
Il punto di partenza è che i migranti, per sfidare la morte su quei barconi, pagano somme molto elevate. Molto, ma molto più elevate di quello che costerebbe un passaggio su una normale nave-traghetto, come non ne mancano su quegli itinerari. Perché spendono mille per sfidare la morte, quando potrebbero viaggiare tranquilli spendendo cento?
Semplice: perché non hanno il visto d’ingresso, e quindi le linee di navigazione non li fanno neppure salire; ma se pure potessero partire, all’arrivo in un porto italiano sarebbero “respinti alla frontiera” e rimandati indietro con la stessa nave. Così dicono la legge italiana e i trattati internazionali. Il respingimento invece è vietato e il migrante irregolare deve essere accolto e soccorso se è in pericolo di vita. Quindi il barcone “deve” essere a rischio naufragio, perché è quella la chiave che apre le porte dell’Italia e dell’Europa.
La soluzione sarebbe una sola. Eliminare tutte le restrizioni legali, rinunciare ai controlli, rinunciare alla programmazione dei flussi d’ingresso (questa programmazione, si badi, non è stata introdotta dalla legge Bossi-Fini del 2002, ma dalla legge Turco-Napolitano del 1998). Perché, fino a quando lo Stato italiano si riserverà il diritto di decidere chi entra e chi no, ci sarà sempre qualcuno che giocherà la carta del barcone a caro prezzo e a rischio vita. Ci sentiamo pronti – qui, ora – a una scelta come questa?
Una volta di più, non esistono riposte semplici per problemi complessi.