Nel primo incontro del “Café teologico” dell’anno, il 17 gennaio, è stata proposta la provocazione: “Le pillole contraccettive uccidono?”. Alla domanda ha cercato di rispondere la dott.ssa Chiara Mantovani, esperta in bioetica e membro dell’Associazione medici cattolici italiani (Amci). L’ospite ha esordito ponendo l’attenzione sull’uso improprio e distorto che spesso media, pubblicità e società fanno di alcuni termini, in sostituzione di altri la cui connotazione semantica può colpire maggiormente la sensibilità, come ad esempio “interruzione volontaria della gravidanza” invece di “aborto”. “Cambiare il nome alle cose non cambia le cose in sé” ha però sottolineato, parafrasando Platone, la dottoressa, che ha aggiunto: “Riguardo alla contraccezione, noi appiattiamo nel significato di una parola quelle che in realtà sono quattro cose distinte: contraccezione, intercezione, controgestazione e aborto, che non sono sinonimi. Non possiamo chiamare allo stesso modo due diverse situazioni come l’impedimento della fecondazione tra ovulo e spermatozoi, oppure il fatto di impedire lo sviluppo di un ovocita fecondato o l’annidamento. E se riflettiamo bene sui fatti, negli ultimi due casi citati dovremmo parlare di aborto, perché ogni zigote, feto o embrione che non nasce è un bambino che non nasce”. Presentati all’uditorio alcuni errori e superficialità con cui la stampa spesso tratta il problema della contraccezione, Mantovani è poi passata a spiegare funzionamento e caratteristiche di alcune pillole anticoncezionali, le quali possono risultare anche rischiose per la salute della donna, con i loro effetti collaterali. “La pillola – ha aggiunto – andrebbe considerata alla stregua di qualsiasi altro farmaco, ma nel caso in questione non esisterebbe alcuna malattia da curare, a meno che non arrivassimo a pensare la gravidanza come una patologia”. “Oggi – ha quindi concluso la relatrice – ‘contraccezione’ non è più una parola con connotazioni negative, anzi porta con sé una carica semantica legata alla responsabilità. Inoltre stiamo banalizzando l’idea di libertà, vista più come possibilità di poter fare tutto quello che si vuole, e come si vuole, che non come uno sforzo da affrontare verso il bene. Inoltre non cerchiamo più di capire se ciò che facciamo sia giusto o no, ma facciamo quello che ci piace. Abbiamo smarrito il significato della persona, della sessualità e dell’amore: il sesso, nella nostra società, ha a che fare solo con la fisiologia e non più con la sua componente affettiva”. “Così, assieme agli embrioni – ha sintetizzato Chiara Mantovani – muoiono anche il senso dell’affettività e della sessualità, la capacità di assunzione di responsabilità e quella di guardare obiettivamente la realtà”.
Castello. Al Café teologico si parla di pillole abortive
Primo incontro del “Café teologico” per il nuovo anno
AUTORE:
Francesco Orlandini